Il Maggio in Caffarella e le descrizioni seicentesche


Giouanni Briccio Romano

Lo spasso della Caffarella
Doue si narra l'allegrezza, le conuersationi, i giuochi, e trastulli, che hanno quelli, che vanno in quel luogo.
In Ronciglione, & in Viterbo. 1620.
Con licenza de' Superiori

Ormai lontana la desolazione del paesaggio del periodo medievale, la valle della Caffarella offre un'immagine ben più rassicurante; attraverso porta S. Sebastiano entrano trionfalmente a Roma nell'aprile 1536 l'imperatore Carlo V in visita a papa Paolo III, e il 4 dicembre 1571 Marc'Antonio Colonna vincitore a Lepanto. Un nuovo ruolo per la Caffarella appare anche nei versi che Giovanni Briccio scrisse all'inizio del Seicento: l'operetta popolare intitolata "Lo spasso della Caffarella" dimostra in quale considerazione fosse la festa di maggio nella valle dell'Egeria. Dimenticate le carestie e il banditismo che avevano travagliato la campagna romana tra il XVI e il XVII secolo, i Romani rincorrevano nell'uscire fuori Porta S. Sebastiano la stessa «allegrezza» che continua a caratterizzare quelle gite fuori porta che, divenute costume, proseguono ancora oggi.

Oh gustosa Caffarella_,
Che di gioia, e di diletto
Ad ogn'uno ingombri il petto
Quando è la stagion nouella.

Oh gustosa Caffarella,
Questo luogo è situato
Fuora di porta Latina,
Luogo ameno, fresco, e grato.
Posto a' piè d'vna collina;
Quì di sera, e di mattina_,
Spiran l'aure fresche a gara;
Onde l'huomo si ripara,
Da la celeste facella.

Oh gustosa Caffarella,
Quà, e là vedrai piantato
Più di vn verbe arbuscello,
De' quai i piedi tien bagnato
La Marrana fiumicello:
Quiui è vn prato fresco, e bello,
Pien di vaga, e fresca herbetta,
Doue il Rosignol diletta
Con l'antica sua querella.

O gustosa Caffarella.
Vna bella fonte, e rara,
Che col prato là confina,
Di acqua fresca, dolce e chiara,
Mormorante, e cristallina;
Vna mensa marmorina
Molto grande quiui è posta,
Doue ogn'uno vi s'accosta_,
Per mangiar sopra di quella.

Oh gustosa Caffarella.
Nel venir di Maggio il mese
Ognun corre a questo luoco,
E si godono il paese,
Mentre il Sol à poco, à poco
Va scaldando col suo foco
Hor la riua, piano, e monte,
Quelli a l'ombra del bel fonte
Calcan l'herba tenerella.

O gustosa Caffarella.
Ogni sorte di persone
Ricchi, poueri, e mezzani,
Di ogni razza, e conditione
Quiui vanno, e di artegiani,
Li sartori, e li magnani,
Calzolari, e ciauattini,
Orzaroli, con facchini,
E chi sopra basto, ò sella.

O gustosa Caffarella.
Li vi vanno muratori,
Regattieri, e giubbonari,
E barbieri, e stufaroli,
Arte bianche, con merciari,
Setaroli, e banderali,
E notari con scrittori,
Camisciari, e tessitori,
Di ogni patria, ouer loquella.

O gustosa Caffarella.
Qua vi vanno fin a gl'osti
A piantarui l'hosteria
Con buon vino, & oui tosti,
Et qualch'altra mercanzia,
E da vn lato della via
Alzan come vna trabacca
Doue i salsiccioni attacca
Con insegna di mortella.

O gustosa Caffarella.
Chi non porterà il mangiare,
Da costor sarà seruito;
Ma ben caro il fan costare,
Acciò sia più saporito;
Ma quell'huomo più fornito
Di giuditio, dentro vn cesto
Porta il pane, il vino, e il resto,
Fin al sale, e la scudella.

O gustosa Caffarella.
E si accordan tre compagni
Quattro, cinque, sette, e otto,
E in su'l prato senza scagni
Giù si buttano di botto,
Poi principio dà'l più dotto
A cauar fuora i taglieri,
E pisciar fa ne' bicchieri
Da la loro botticella.

O gustosa Caffarella.
Vno manga presso al fonte.
Et alcuni accanto al fosso;
Altri poi à piè del monte
Di vn'agnel rodono l'osso,
E daranno più di un scosso
Alla fiasca, e al botticino,
Se si affronta esser buon vino,
Leccaran fin la cannella.

O gustosa Caffarella.
Vi è tal gente, che si porta
Fin con seco la padella,
E poi dentro de la sporta
Vna buona coratella;
Troua vn la fascinella,
Che il focil poi li da fuoco,
E da se si fanno il cuoco
La massara, e la fantella.

O gustosa Caffarella.
Poi finito di mangiare,
Vno alza sù il liuto,
E cominciano à cantare
Chi con stil graue, & acuto,
E se ad vn li manca il sputo,
Sel fa render dal boccale;
Poi ripiglia il madrigale,
O canzon, ò villanella.

O gustosa Caffarella.
Quei che poi non san cantare,
Non per questo stanno cheti;
Ma cominciano a giuocare
A la morra con i deti;
Altri poi, ma più discreti,
Vanno il luogo ríguardando,
Et il resto stan giocando
In due parti alla piastrella.

O gustosa Caffarella.
Vi sarà chi fara'l Zanni,
Et vn altro il Pantalone,
E conciati ne' suoi panni
Faran più di vn bel sermone,
Vi è poi tal, che fa il buffone,
Senza hauer punto di gratia,
Che la turba di lui satia
Con fischiare ben l'vccella.

O gustosa Caffarella.
Vno porta l'archibuso
Per far preda de gl'vccelli;
E quell'altro và in su'l fuso,
Che si perita esser de i belli;
Altri sotto li arborelli
Van leggendo il Furioso,
O l'istoria del Geloso,
O le burle del Gonnella.

O gustosa Caffarella.
A le volte è si gran caldo,
Che à più d'vn non basta l'ombra,
Nè potendo star più saldo,
Quali spinto à fuor di tromba,
Dentro l'acque il petto ingombra,
Qua, e là sempre notando,
Sù, e giù sempre sguizzando,
Fin che il Sol smonta di sella.

O gustosa Caffarella.
E vicino alle chiar'onde
Vi è tal'vno che improuisa;
Et vn'altro le risponde,
Doue ogn'vn crepa di risa;
Tal'vn canta di Marfisa,
Di Ruggiero, e Bradamante,
Chi con voce risonante,
E chi come raganella.

O gustosa Caffarella.
Per sentir maggior diletto
Viè tal'vn, che ballar suole
Donde spiccherà vn balletto,
Come si vsa nel le scuole,
Con sgambetti, e crapriole
In gagliarda, ouer Pauana,
Mattacino, e chiarenzana,
O ne l'aria del Gazzella.

O gustosa Caffarella.
Vn quell'herbe va cogliendo,
Qual'auanzano di odore,
Et a casa poi venendo,
Le appresentano al suo amore,
Chi li piace à cor il fiore
Di ogni herbetta ouer mazzocci,
Chi canci, e chi finocci,
Chi crespigni, ò pimpinella.

O gustosa Caffarella.
Ma se il sonno alcun molesta,
Fa del prato vn matarazzo,
E si pon sotto la testa
D'herbe, e frasche vn gran piumazzo;
E lì dorme come pazzo,
E poi ronfa, qual somaro,
Che nel mese a lui più caro
Vuol seguir la somarella.

O gustosa Caffarella.
Molti vanno più lontano
Per veder capo di Boue,
E con passo lento, e piano
Raccontando alcune nuoue,
Van vedendo le gran proue,
Che già fecero i Romani,
Nel valor cosi soprani,
Che ogni terra gli era ancella.

O gustosa Caffarella.
Poi à Capo Boui gionti,
Si rinouan gli Offitiali,
Si riuedono li conti
De le spese, e capitali;
Poi con ciere giouiali
Ognun prende il suo possesso,
Et ogn'vn segna con gesso
Il suo nome in la rocella.

O gustosa Caffarella.
Ma ciascuno stia in ceruello
A non far qualche insolenza;
Perche chi farà il bordello
Ne farà la penitenza:
Qui non manca la semenza
Di soldati da presura,
E color che in su le mura
Fanno ogn'hor la sentinella.

O gustosa Caffarella.
A la casa in fin si torna
Con stracchezza, & appetito,
E al cenar poco soggiorna,
Che li par ben saporito;
Poi se il sonno fa l'inuito,
Quel si caccia dentro al letto,
Doue posa fin che al tetto
Se ne vien la noua stella.

O gustosa Caffarella,
Che di gioia, e di diletto
Ad ogn'vno ingombri il petto
Quando è la stagion nouella.

O gustosa Caffarella.

Il fine della Caffarella.

Filippo de' Rossi

RITRATTO DI ROMA MODERNA
In Roma appresso Francesco Moneta MDCXLV.
Con Licenza de' Superiori

Pochi anni dopo, sempre con licenza de' Superiori, un certo Filippo de' Rossi descriveva la Caffarella in termini molto più rispettosi:

S. Urbano descritto da Filippo de'
Rossi
S. Urbano descritto da Filippo de' Rossi nel 1645

Nota di Paolo Grassi:

Brano scritto nel 1645 da Filippo de' Rossi per il suo "Ritratto di Roma Moderna", pubblicato dopo il gran successo che aveva poco prima avuto il "Ritratto di Roma Antica". Ambedue ebbero ovviamente il dovuto imprimatur e dovevano costituire una specie di vade mecum per il Giubileo del 1650. Ma quello che più conta è che il passo su S. Urbano è stato scritto dopo il restauro del monumento e la completa "sovradipintura", nel 1634, degli affreschi interni di frate Bonizzo, eseguiti nel 1011 e che costituiscono una specie di caposaldo nella storia dell'arte (ed anche della cultura popolare per la presenza di episodi tratti dai vangeli apocrifi). Gli affreschi dovevano essere in quel momento splendenti. Avevano ricalcato in grandissima parte l'originaria fattura con gusto seicentesco. Ed anche se oggi stanno in uno stato pietoso (con necessità impellente di restauro) sono testimoniati benissimo, comunque, dall'integrale riproduzione in incisioni che ne fu fatta, contemporaneamente, per volontà del papa. D'altra parte ... ci sarebbe mancato che uno che si era dato il nome di Urbano VIII non ci tenesse poi alla chiesa di S. Urbano. Quelle riproduzioni in bianco e nero si possono pure ritrovare, in vista anche di una nuova pubblicazione del libro sulla Caffarella dove, invece dell'elenco delle scene, ci possono figurare le scene stesse. E' più difficile invece sapere come il pontefice poté ricompensare quel certo, stranissimo, Signor Biliardo che ebbe il merito di "ritrouare" il luogo. A proposito, in questo caso mi sembra bello dare testimonianza, con la riproduzione delle pagine originali, delle "u" al posto delle "v" e delle "f" al posto delle "s".


Qualche anno dopo un altro autore ci descrive la Caffarella in un modo ancora diverso:

Fioravante Martinelli Romano

Roma ricercata nel suo sito et nella Scuola di tutti gli Antiquarij
(Venetia, 1660)

Trovarete più oltre un piano allagato. Questo è un ridotto d'acqua minerali, che scaturiscono poco lontano, quali servono per il prossimo molino da grano; e si dice Acquataccio corrottamente, che vuol dire, Acqua d'Accio, da Ati, giovanetto amato da Berecintia, madre delli Dei, la cui statua portata da Frigia a Roma ha huomini mandati colà a posta, fu lavata da uno dei suoi Sacerdoti colà. In questo luogo vengono le pecore, et altri animali, che patiscono di scabbia, o di simile infermità, e guariscono.


Nonostante i restauri di S. Urbano e di altre chiese sulla via Appia Antica promossi da papa Urbano VIII e dal card. Francesco Barberini, nonostante gli allagamenti, nonostante le guide giubilari e le relazioni dei marchesi francesi, il popolo romano continuerà ad usare la Caffarella soprattutto per le scampagnate:

Francesco Maria Pratilli

Della Via Appia riconosciuta e descritta da Roma a Brindisi
(Napoli, 1745)

Egli è qui da notarsi che le Feste presso i Romani dette Saturnali, presso i Candiotti appellavansi Mercuriali; poiché in quell'Isola fioriva il traffico, ed era gran copia di negozianti, come Diogene Laerzio dottamente raccoglie Gio. Brodeo.

I Romani mercadanti che a' XV Maggio sacrificavano a Mercurio una porca gravida, poscia colla stess'acqua lustrale le loro merci ancora aspergevano: Di che Ovidio ne' suoi Fasti (Lib. V v. 669)

TEMPLA TIBI POSUERE PATRES SPECTANTIA CIRCUM,
IDIBUS EX ILLO HAEC TIBI FESTA DIES.
TE QUICUMQUE SUAS PROFITEUR VENDERE MERCES,
THURE DATO TRIBUAS UT SIBI LUCRA, ROGANT.
EST AQUA MERCURII PORTAE VICINA CAPENAE,
SI JUVAT EXPERTIS CREDERE, NUMEN HABET.
HUC VENIT INCINCTUS TUNICAS MERCATOR, ET URNA
PURUS SUFFITA QUAM FERAT HAURIT AQUAM.
UDA FIT HINC LAURUS; LAURO SPARGUNTUR AB UDA
OMNIA, QUAE DOMINOS SUNT HABITURA NOVOS.
SPARGIT ET IPSE SUOS LAURO RORANTE CAPILLOS,
ET PERAGIT SOLITA FALLERE VOCE PRECES.
ABLUE PRAETERITI PERJURIA TEMPORIS, INQUIT,
ABLUE PRAETERITA PERFIDA VERBA DIE.

E poco dopo soggiunge il Poeta

ET PATEANT VENIENTE DIE PERJURIA NOBIS;
NEC CURENT SUPERI, SI QUA LOCUTUS ERO.
DA MODO' LUCRA MIHI, DA FACTO GAUDIA LUCRO;
ET FACE UT EMPTORI VERBA DEDISSE JUVET.

Questa medesima solennità, se vero sia ciò, che nell'allegato calendario si legge, ripetevasi negl'Idi, o sia il dì XV Ottobre, che da Virgilio credesi natalizio di Mercurio.

Anche al presente usa il Popolo Romano nel primo giorno di Maggio di concorrere in cotal luogo, detto la Caffarella; e presso que' fonti incoronarsi di frondi, e di fiori; cenare, saltabellare, e con varj stromenti divertirsi, e cantare; e così tripudiando tornare in Roma sul tramontare del sole:
Ne' tempi andati in seguela della idolatra superstizione, ciò faceasi a XV di Maggio; ma da' Sovrani Pontefici fu espressamente vietato. E per tutte le domeniche di Maggio fu conceduta l'indulgenza plenaria nella chiesa di S. Bastiano fuori la Porta Capena; alla quale presero a portarsi collegialmente gli artigiani con offerta di cere, di argenti, e di altro, come a lungo narrasi da Jacopo Volterraneo nel suo diario,

SINGULIS MAII DOMINICIS CONCURSUS FREQUENS EST AD AEDEM S. SEBASTIANI, QUAE VIA APPIA SITA A PORTA NOMINIS EJUS CIRCITER MILLE PASSIBUS DISTAT.
SUNT QUI OB RELIGIONEM CEREOS MIRAE MAGNITUDINIS OFFERANT, ARGENTEOS CALICES ETC. PORTITORES, PISTORES, VINARII COLLEGIALITER CANTANTES, TOTA VIA ET C.

Di tal costume di Roma si parla in un'antichissima scrittura del 1175 nell'Archivio del Monistero di S. Lorenzo della Città di Aversa de' Monaci Cassinesi, che mi fu fatta osservare dal fu dottissimo P. Laudati.


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