Convegno

La valle della Caffarella: dalla ricerca alla gestione (3 giugno 1995)

Relazione del prof. Lorenzo Quilici

direttore Istituto di Archeologia Università di Bologna

Ringrazio di tutti questi elogi, ma dirò che chi veramente merita è questo piccolo comitato, soprattutto per la tenacia che ha in undici anni di impegno costante, e proprio il rigore e la tenacia sono quello che si spera verrà un giorno premiato.

Quello che oggi vi presento è l'aspetto archeologico della Caffarella, aspetto più recente perché riguarda la presenza dell'uomo e della sua storia.

fig. 39: foto Foro Romano

Quando noi ci affacciamo sul Foro Romano dal Campidoglio o dal Palatino, e vediamo tutto questo tripudio di arte e di storia, possiamo pensare che questo paesaggio sia sempre stato presente, e che tutti abbiano sempre potuto goderne, fino alle generazioni più recenti.

Non è così. Il Foro Romano, pensate, è stato scoperto soltanto all'inizio dell'ottocento, e solo da allora l'uomo si è impegnato a scavarlo, restaurarlo, studiarlo. Prima non si sapeva dov'era, e quindi sono poche generazioni di uomini quelle che ci hanno trasmesso questo coro straordinario d'arte e di storia.

A questo si sono aggiunti altri studi e ricerche che iniziano alla fine del settecento, e vengono portate avanti soprattutto nella prima metà dell'ottocento: è l'impegno di Pio VII, di Gregorio XVI, di Pio IX, e tutto un mondo di storia passata riaffiora proprio per questo impegno.

Il Foro Traiano, il Foro di Augusto, il Palatino (che era la reggia di Napoleone III) che vengono espropriati dallo Stato Italiano appena creata Roma capitale; il Circo Massimo viene espropriato durante il Fascismo.

La via Appia ha rappresentato uno straordinario impegno anche questo papale, soprattutto per tutta la prima metà dell'ottocento quando si sono impegnati a scavarla, a restaurarla, a studiarla non soltanto uomini di cultura, studiosi, archeologi, architetti, ingegneri, ma addirittura santi, politici, uomini di governo, finanzieri: non fu semplicemente un piccolo gruppo di persone illuminate che imposero alla loro società di rispettare e creare questo parco, bensì fu una motivazione culturale che si è imposta nell'arco di secoli.

Già nel cinquecento Raffaello si lamentava delle distruzioni che si portavano sull'Appia; da allora ininterrottamente c'è stato un coro di persone che con tenacia, nel corso dei secoli, si è impegnato per la salvaguardia di questa strada; tre secoli dopo, all'inizio dell'ottocento, i papi hanno creato questo parco di cui oggi ancora noi godiamo.

Il parco si è allargato con l'impegno della zona dei Fori Imperiali, con la zona del Colosseo, Palatino, Celio, l'Oppio, la Passeggiata Archeologica, e addirittura all'indomani dell'unità d'Italia il ministro Ruggero Longhi aveva vagheggiato di creare un parco della via Appia Antica da Roma fino a Brindisi, un parco che doveva andare dall'uno all'altro mare.

Questo per dire come le cose non si creano di colpo, ma vanno curate con tenacia, ma si possono ottenere soltanto nell'arco di molto tempo, bisogna creare una coscienza e poi la realizzazione, e questo è quello che si sta facendo per la valle della Caffarella, per la quale siamo giunti veramente a buon punto.

fig. 40: foto tomba di Geta

La valle della Caffarella interessa naturalmente l'Appia; qui siamo nella zona del Quo Vadis, proprio dove la via è attraversata dalla Caffarella, e anche qui troviamo monumenti insigni: la tomba di Geta e la tomba di Priscilla; sono casalini e tombe trasformate in osterie ed alberghi per i pellegrini che andavano a visitare le catacombe.

Per far fronte alla malaria il casalino si arrocca in cima alla torre per sfuggire alle zanzare (e ai malandrini).

fig. 41: foto Circo di Massenzio

Abbiamo la villa di Massenzio, con il Circo che è il più conservato di quelli che ci sono rimasti da tutta l'antichità; questo luogo, espropriato durante il Fascismo, si colloca su un versante della Caffarella e fa parte del Triopio di Erode Attico, che interessa direttamente anche la nostra valle.

fig. 42: figura da Capitolium

Questo disegnetto dà un colpo d'occhio della posizione della valle della Caffarella tra la via Appia Antica e la via Latina. La via Latina è una strada non meno importante dell'Appia, anzi molto più antica, perché mentre l'Appia è un tracciato artificiale, la via Latina era la via naturale per andare in Campania: una strada non meno ricca di monumenti dell'Appia Antica, ma che purtroppo non ha avuto la stessa tutela, la stessa attenzione proprio perché l'Appia fu già al tempo dei Papi oggetto di un impegno morale, per quanto contrastato da speculatori diversamente interessati.

La via Latina è stata invece massacrata e noi possiamo avere un'idea di quello che abbiamo perduto soltanto dai rimasugli che rimangono e dal Parco delle Tombe Latine che vediamo al di là dell'Appia Nuova.

fig. 43: foto da "La via Latina da Roma a Castel Savelli"

L'immagine del borghetto latino ricorda un aspetto non lontanissimo della nostra storia: è la via Latina quando ancora si sarebbe potuta salvare, e queste casine occupavano tombe e sepolcri mantenendo quel minimo di manutenzione e la linea monumentale. Poi con le case sono stati distrutti anche i monumenti che li fiancheggiavano.


fig. 44: il Parco archeologico della via Latina

Il Parco delle Tombe Latine dà un'idea di come poteva essere il versante verso la via Latina, e anche questo lo dobbiamo a Pio IX; appare straordinario questo impegno dei Papi dell'ottocento, di cui noi godiamo ancora i frutti proprio perché molto poco viene fatto dalle nostre generazioni.

E' un miracolo che la Caffarella si conservi, con sprazzi di campagna nel cuore di Roma che portano una documentazione straordinaria, sebbene assediati e circondati dai nuovi quartieri.

Una documentazione nata non per caso, ma nel cinquecento con la tenuta dei Caffarelli che ha dato origine al nome della valle.

Questa campagna ingloba anche ruderi antichi straordinari, in mezzo ai canneti, ai fossi, ai piantati di salici, ai carciofi, ecco, l'ambiente agricolo fa parte proprio della storia della Caffarella.

Non abbiamo una grande villa patrizia tipo villa Borghese o villa Doria Pamphili, parchi da divertimento come tanti altri intorno a Roma, bensì abbiamo una tenuta agricola del cinquecento, certo evolutasi nei secoli successivi, che rappresenta una documentazione straordinaria, una testimonianza ricchissima della nostra storia più recente, anzi unica perché non se ne conservano altre intorno a Roma:

fig. 45: foto del cisternone che sta in fondo a via Macedonia

Attraverso le forre, i fossi, i tagli riconosciamo cunicoli e condotte di acquedotto per portare l'acqua ai mulini medievali.


fig. 46: foto delle cave di pozzolana (autore: Marco Placidi)

Troviamo le cave di pozzolana, che sono soprattutto ottocentesche, i resti delle argillature romane che portavano l'Almone; questo paesaggio, che ha come sfondo le Mura Aureliane, è parte determinante del paesaggio dell'Appia, e la valle dell'Almone costituiva proprio l'antemurale difensivo delle le mura imperiali.


fig. 47: foto del casale della Vaccareccia

Il casale della Caffarella, del 1547, è un casale agricolo notevolissimo, con un bellissimo portico cinquecentesco dove non si riesce più a entrare.

fig. 48: foto del panorama della Caffarella

Qui abbiamo la visione classica della Caffarella, con S. Urbano, Cecilia Metella sul fondo, il Bosco Sacro di Egeria sulla sinistra, i tre sparuti lecci

Conserviamo nella Caffarella monumenti straordinari per la storia dell'umanità, monumenti studiati e disegnati nel cinquecento da Raffaello, Pirro Ligorio, Bramante, sono eccezionalmente intatti e hanno segnato l'impronta dei nostri maestri, educando i grandi architetti del passato.

La chiesa di S. Urbano è un tempio conservato perfettamente fino alle tegole del tetto; le colonne sono di marmo pentelico mentre il resto è laterizio dell'età di Antonino Pio: i tasselli, le cornicette, le mensole fino al tetto sono ancora quelli di età Romana. Dove troviamo noi un tempio così integro? Qualcuno è dentro Roma ma non certo in mezzo alla campagna.

La valle della Caffarella si raccorda a memorie antichissime della storia di Roma, addirittura alle sue origini.

Almone viene ricordato nell'Eneide come il giovane fratello di Silvia il cui cervo, domestico, fu ucciso da Iulo, figlio di Enea, che lo credeva selvatico, dando origine al primo scontro tra Troiani e Aborigeni. Il primo a morire nella mitica guerra tra Enea e quelli che poi sarebbero diventati i Latini è stato proprio Almone che poi divinizzato è diventato questo fiume.

Il Bosco Sacro di Egeria è connesso con re Numa Pompilio, il secondo Re di Roma; in questo bosco lui incontrava la Ninfa Egeria, che lo ispirava nel comporre appunto le leggi sacre di Roma.

Questa attribuzione la dobbiamo agli umanisti del seicento e del settecento, che avevano identificato la grotta di Egeria in quella che sta sotto S. Urbano; il Bosco Sacro di Egeria fu identificato in questo boschetto, oggi abbandonato e ridotto a tre sparuti lecci, eppure rigogliosissimo ai primi del '900.


il Bosco Sacro ai primi del '900

Paesaggi e ambienti andrebbero ripristinati proprio perché appartengono alla storia.

La grotta di Egeria nella Caffarella non è la vera grotta di Egeria (che era più verso Roma), ma è il ninfeo del Triopio di Erode Attico, straordinario personaggio vissuto alla metà del II sec. d.C.; la grotta era un luogo di diletto dove Erode Attico banchettava e stava al fresco nelle stagioni di calura, e aveva davanti un laghetto che si vedeva ancora nel settecento e potrebbe essere ripristinato.


fig. 49: foto del ninfeo di Egeria

Qui in origine era la tenuta degli Annii, discendenti da quell'Attilio Regolo famoso per essere rotolato nella botte chiodata perché, per non venir meno alla parola data, tornò a Cartagine dove fu trucidato.

Questi ricordi sono legati alla storia di Roma antica, e dagli Anici discende niente di meno che S. Benedetto, quindi una famiglia che ha avuto possedimenti qui per secoli e secoli che ha scandito tutta la storia antica dalle origini fino all'alto Medioevo (?).

Artisti hanno raffigurato questo monumento fin dal cinquecento: Raffaello in dettaglio, Du Perac, Lorrain nel seicento, Piranesi, e hanno lasciato una documentazione straordinaria proprio per l'importanza di questi monumenti e la suggestione che essi conservano nel paesaggio e nella campagna.


fig. 50: foto del tempio del dio Redicolo

Il cosiddetto tempio del dio Redicolo è uno stupendo monumento datato verso il 135 d.C., che ha rappresentato la nostra grande scuola dell'architettura in cotto nata nel cinquecento.

Bramante e Raffaello vedevano in questa tomba a colombario così ben conservata un monumento architettonico economico e semplice come materiale (il laterizio) a cui si è però aggiunta una straordinaria eleganza con il mettere in contrasto e in risalto le parti modanate (le lesene, i capitelli, le cornicette, le mensole sono tutte in cotto rosso) rispetto a quelle piane (cotto giallo di fondo).

Benché famoso nei secoli il monumento è abbandonato a sé stesso, e proprio a insegna del nostro tempo è caduto in questi giorni un pezzo.

Per concludere, la Caffarella si conserva miracolosamente in un ambiente naturale intatto: è il paesaggio della tenuta del cinquecento impreziosito da questi gioielli di architettura e con i ricordi della storia antica come ciliegine sulla torta.

Il fatto che il Comune si impegni proprio sulla Caffarella come primo segno della realizzazione del Parco dell'Appia ci rincuora tutti e speriamo che vada avanti.

Quello che raccomando e che sento come molla fondamentale per andare avanti di questo passo è questo gruppo del Comitato della Caffarella.

Se domani avremo questo parco noi dovremo moltissimo a loro, e vanno assolutamente aiutati perché è nell'interesse di tutti questi quartieri avere questo parco da godere, è un interesse dell'umanità intera che si conservi questa testimonianza straordinaria della sua storia, della storia dell'umanità.

Come dicevo prima, il Parco dell'Appia non è stato realizzato di colpo, ma attraverso lotte in cui si sono impegnati studiosi, architetti, politici, finanzieri, contro partiti interessati sempre alla speculazione, eppure è stato realizzato.

Anche il nostro tempo deve lasciare il suo segno: spero che non sia un passo indietro, e che se domani si realizzerà il Parco dell'Appia e il Parco della Caffarella si possa ringraziare anche la nostra generazione.

Grazie.



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copyright COMITATO PER IL PARCO DELLA CAFFARELLA 4 agosto 1998