Itinerario naturalistico nella valle della Caffarella

Un "colpo d'occhio" sulla valle e sui suoi abitanti

  1. Usignolo
  2. Airone cenerino
  3. Cappellaccia
  4. Gheppio

Attraversato, su uno dei tanti sentierini, il pianoro costellato di buche da sprofondamento, arriviamo sul suo margine ed è... la valle della Caffarella in tutto il suo insieme.

Osserviamo il paesaggio: alla nostra estrema sinistra possiamo vedere via dell'Almone con le auto che sfrecciano, poi via via, andando verso destra, un rudere a forma di casetta, il cosiddetto Colombario Costantiniano, la torre-ponte costruita nel Medioevo sulla sponda del fiume Almone, i tre lecci ultimi resti del Bosco Sacro (sono quei tre alberi sempreverdi sulla cima di una collinetta proprio davanti a noi, circondati da lecci più giovani), la chiesa di S. Urbano immersa nel verde, i boschetti di querce su cui dominano alcuni imponenti pini (leggermente sulla nostra destra), un piccolo ninfeo e, ancora più lontano e a destra, l'onnipresente "Cupolone".

Sullo sfondo appaiono poi anche testimonianze della via Appia Antica come l'imponente tomba di Cecilia Metella e i campanili della chiesa di S. Sebastiano. Nel fondovalle spiccano l'Almone e i suoi affluenti (costeggiati da fitta vegetazione), i casali tra cui, sulla destra, la poderosa Vaccareccia, un vecchio mulino trasformato in villa, il vicino sepolcro di Annia Regilla, i pascoli, i campi coltivati, le serre.

capre
Capre al pascolo (autore: Claudio Cuneo)

Fin dai tempi dei Romani il fondovalle della Caffarella è stato utilizzato per fini agricoli, soprattutto per il consumo giornaliero di ortaggi e frutta da parte degli abitanti di Roma. Ma questo non vuol dire che anche questa parte della valle non abbia mantenuto caratteristiche naturali. Si è sempre trattato infatti di agricoltura di tipo tradizionale, rispettosa dell'ambiente e in esso ben integrata. Ne sono tipico esempio i filari di alberi, i grandi alberi isolati, le lunghe siepi cespugliate.

Tra i filari alberati troviamo in primo luogo quelli a scopo ornamentale o per segnare i confini, come la piccola pineta posta proprio alla fine del viale, con pini domestici (Pinus pinea) e cipressi (Cupressus sempervirens), o come il lungo viale dei bagolari (Celtis australis) che dal casale della Vaccareccia si porta verso via dell'Almone. Poi, sparsi un po' per tutta la valle, filari di pioppi e di olmi.

Ci sono poi filari di alberi ad uso produttivo: gelsi neri (Morus nigra) per gli squisiti frutti, e gelsi bianchi (Morus alba) proprio di fronte a noi sull'altro versante della valle; noci americani (Juglans nigra) coltivati per il legname (lungo i campi alle spalle del Colombario Costantiniano).

Ma nella valle spiccano anche grandi e imponenti alberi isolati, spesso al centro di appezzamenti di terreno. Sono lì, tranquilli giganti verdi, per dare ombra, oggi come un tempo, agli stanchi contadini accaldati per il lavoro dei campi, ai pastori della valle, o anche solo ai visitatori. Sono i resti di un modo antico di coltivare la terra, quando l'unica macchina era l'aratro tirato dai buoi o dai cavalli. Tra i più belli certamente la farnia (Quercus robur) dalle belle ghiande peduncolate, nel fondovalle in prossimità di via della Caffarella.

Altri residui, anzi "reperti storici", sono le lunghe ed intricate siepi che ancora cingono e separano gli antichi poderi. Quasi completamente distrutte in altri luoghi dalla moderna agricoltura che le considera inutili e d'impaccio, sono invece preziosissime!

Nell'intrico di rami e foglie troviamo il prugnolo, l'acero (Acer campestre), il corniolo (Cornus mas), il rovo, il biancospino, la vitalba, l'edera, il pero selvatico, il melo selvatico e persino qualche piccola quercia. Un vero campionario di piante che a primavera si caricano di fiori e attirano le api e che, un tempo, permettevano la produzione di un profumatissimo miele. In estate invece è ovviamente un tripudio di bacche, drupe e piccoli frutti.

L'intrico di rami e l'alta produzione di frutti e semi che prosegue fino ad autunno inoltrato, attira una grande quantità di uccelli che vi trovano riparo (molti vi nidificano) e "dispensa". Tra i tanti ricordiamo il pettirosso, la capinera, lo scricciolo, il merlo, il luì piccolo, l'usignolo (Luscinia megarhynchos).

Capinera
Capinera

Una tale presenza di uccelli era preziosissima per l'agricoltura di un tempo. Tutti questi uccelli sono infatti infaticabili predatori di insetti dannosi per le piante coltivate. Ma nell'agricoltura moderna le "scomode" siepi sono state estirpate e così anche gli utilissimi uccelli insettivori se ne sono andati. Anche da questo è derivata poi la necessità di utilizzare alcuni dei velenosissimi antiparassitari che spesso uccidono anche gli ultimi uccelli sopravvissuti. Per fortuna questo in Caffarella non è ancora avvenuto.

Usignolo

(Luscinia megarhynchos)

Come riconoscerlo: lunghezza: 16 cm; peso: 23 g; apertura alare: 23 cm.

Ha una colorazione marroncina poco brillante, leggermente più viva su coda e groppone.

Per il suo comportamento schivo è molto più facile a udirsi che a vedersi. Il suo canto, che per potenza e musicalità rappresenta una delle più belle manifestazioni della primavera, inonda boschi e macchie quasi ininterrottamente giorno e notte a partire da metà aprile. Ma è soprattutto di notte che, nel silenzio del buio, l'improvviso alzarsi del suo canto dice che la primavera è arrivata. Il fraseggio musicale è molto complesso e il repertorio è assai vasto: spesso ripete la stessa melodia alzando di volta in volta il tono.

Alimentazione: mangia prevalentemente insetti, ma anche vermi, piccoli molluschi e ragni; la dieta è integrata da bacche e frutti selvatici (soprattutto del sambuco).

Riproduzione: maggio-giugno; nido: sul terreno o in un cespuglio a poche decine di centimetri da terra, costruito con foglie secche, erbe, muschio e peli (spesso lo nasconde tra rovi e ortiche); uova: 4-5 di colore bruno olivastro e di 20x15 mm (l'incubazione dura 13-14 gg. e i piccoli si involano dopo 10-12 gg.).

Curiosità: poco prima che i piccoli si allontanino definitivamente dal nido, il padre insegna loro a cantare, non essendo questa capacità fissata geneticamente.

Lo troviamo nei boschetti dove il sottobosco è più fitto.

E non sono solo gli insettivori delle siepi ad abitare il fondovalle. Da questo poggio, anche ad occhio nudo ma soprattutto con un binocolo, è facilissimo osservare una grande quantità di uccelli anche di notevoli dimensioni.

Tra i più grandi "volatori" che utilizzano i pascoli e i campi coltivati come luogo di alimentazione, troviamo la cornacchia grigia (Corvus corone cornix), presente con numerose coppie nidificanti nei boschetti ai margini del fondovalle (i nidi si riconoscono facilmente, soprattutto d'inverno quando gli alberi sono spogli, per le grandi dimensioni e per il materiale con cui sono fatti: ramoscelli anche di notevole grandezza) e la taccola (Corvus monedula) anche essa corvide ma di dimensioni più piccole.

I corvidi sono i più intelligenti tra gli uccelli, e imparano subito a riconoscere trappole e spaventapasseri; ma c'è dell'altro: diversamente dalla cornacchia grigia, che vive quasi sempre in coppia, la taccola ha un'interessante vita sociale.

Gruppi di taccole vocianti (il loro canto è simile ai colpi di martello su un'incudine) sono visibili sia sulle mura romane, dove predano i nidi dei piccioni, che su varie case del quartiere Appio Latino dove spesso nidificano.

Con il loro volo e con gli schiamazzi, talvolta le taccole disturbano altri volatili che normalmente si nascondono tra le foglie degli alberi; in un'occasione è stato osservato un gruppo di taccole che attaccavano due grossi uccelli, poi identificati come una coppia di aironi cenerini (Ardea cinerea) che cercavano di estendere, in Caffarella, il loro territorio.

Airone cenerino

(Ardea cinerea)

Come riconoscerlo: lunghezza: 90-100 cm; peso: 1,4-2,0 kg; apertura alare: 1,4 metri.

E' un uccello di palude di grandi dimensioni, con zampe e collo lunghi e becco appuntito; le parti superiori sono grigiastre (color cenere), il collo e la testa bianchi con una striscia nera che va dall'occhio alla lunga cresta (sempre nera). La voce è un profondo e aspro "frernk".

Mentre se ne sta immobile nell'acqua bassa o fra la vegetazione di sponda tiene il lungo collo teso o la testa affondata nelle spalle. Nel volo si riconosce per i lenti e potenti battiti d'ala, e per la caratteristica silhouette con la testa tra le spalle e le zampe ben all'indietro.

Alimentazione: prevalentemente pesci, ma anche anfibi, piccoli mammiferi acquatici, nidiacei, molluschi e crostacei.

Riproduzione: febbraio-aprile; nido: sugli alberi; uova: da 3 a 6 (l'incubazione dura dai 23 ai 28 gg. e i piccoli si involano dopo altri 55-60 gg.); si riproduce in colonie in alcune zone umide dell'Italia settentrionale.

A Roma è relativamente comune lungo il Tevere, l'Aniene e i fossi della periferia.

E' stato osservato nel fondovalle e lungo i fossati, oppure fra gli alberi nei pressi dell'Almone.

Accanto a taccole e cornacchie altre due presenze candide, imponenti ed inaspettate: il gabbiano reale (Larus argentatus) e il gabbiano comune (Larus ridibundus). E' possibile distinguerli in quanto il secondo, oltre ad essere più piccolo, ha la testa nera (un vero e proprio cappuccio che appare però solo in primavera-estate), le zampe e il becco rossastri e vive in gruppi numerosi.

Potrebbe sembrare strano che due uccelli tipicamente marini arrivino fino a queste zone, ma risalendo i fiumi, hanno trovato molto cibo a buon mercato e a poca fatica: campi appena arati dove "predare" lombrichi ed altri invertebrati (è bellissimo lo spettacolo di decine di gabbiani che seguono il trattore mentre ara: in altri paesi anche vicini a noi, come in quelli balcanici, a farlo sono le cicogne) o immondezzai dove a centinaia si cibano dei nostri ricchi scarti.

Ma il fondovalle della Caffarella ospita anche quegli uccelli più legati alla campagna, che raramente incontriamo in città: la cappellaccia (Galerida cristata), riconoscibile per la evidente cresta di piume sulla testa (da qui il nome), in primavera-estate frequenta in piccoli gruppi i campi coltivati e i pascoli zampettando alla ricerca del cibo.

Cappellaccia

(Galerida cristata)

Cappellaccia
Cappellaccia

Come riconoscerla: lunghezza: 17 cm; peso: 45 g; apertura alare: 22 cm.

Lunga cresta diritta evidente sulla testa, colore bruno sul dorso e macchiettato di nero su collo e gola. Ha l'unghia posteriore molto lunga come tutti gli uccelli adattati alla vita terricola.

Tra i suoi comportamenti facilmente riscontrabili ci sono i bagni di terra (lo fanno tutte le allodole) per pulire il piumaggio, eliminare i parassiti e aumentare le caratteristiche mimetiche. Durante i voli nuziali si alza in aria quasi verticalmente restando ferma come un elicottero e cantando a squarciagola: così facendo delimita il suo territorio, ma attira anche eventuali predatori difendendo così la femmina.

Per difendersi dai predatori terrestri (soprattutto volpe e donnola) si accovaccia sul terreno mimetizzandosi grazie al colore bruno.

Quando è in volo forma grossi stormi compatti per disorientare l'attacco dei rapaci (tecnica del "flock").

Alimentazione: autunno-inverno granaglie, semi e piccoli invertebrati; primavera-estate ortotteri (cavallette), coleotteri, piccoli molluschi di terra. Caccia camminando anche lungo le strade sterrate e i sentieri cercando insetti già uccisi o quelli nascosti tra gli escrementi degli animali.

Riproduzione: aprile-maggio; nido: a terra; uova: 3-5 di 23x17 mm (l'incubazione dura 12 gg. e i piccoli si involano già dopo 9-10 gg.).

A Roma è presente in modo localizzato in alcune aree verdi più periferiche.

La troviamo sui pascoli, sulla gariga, sui campi coltivati a cereali.

Altra specie presente in gran numero sui pascoli della valle è lo storno (Sturnus vulgaris). Segnalato negli inverni romani già all'inizio del secolo, lo storno è ormai diffuso in tutta la città; nel periodo autunno-primavera migliaia di questi uccelli, molto simili al merlo per dimensione e colore (ma il merlo non sta mai in gruppo!), scelgono la Caffarella come grande tavola imbandita. Lo storno è infatti un animale onnivoro, la cui dieta varia con le stagioni: in primavera si nutre degli invertebrati che trova nel terreno, mentre in autunno e inverno si nutre di frutta e semi.

Li vediamo posati a terra in gruppi sparsi pronti ad involarsi al più piccolo allarme. E proprio il loro volo rappresenta uno degli spettacoli più belli della natura della valle. In stormi fitti, fino a sembrare vere nuvole nere, compiono evoluzioni rapide e fulminee: ora si distendono in lunghe strisce, ora si raccolgono in strettissime "palle". E in quest'ultima occasione faremmo meglio ad aprire ancora più gli occhi. Potrebbe infatti essere in arrivo uno dei rapaci che abitano la valle. Infatti gli storni proprio per difendersi dai loro nemici si raccolgono in volo uno vicino all'altro per confondere un eventuale attacco.

Guardiamo allora bene intorno. Potrebbe essere anche un falso allarme: una cornacchia o un gabbiano. Ma, con un po' di fortuna, nel cielo spiccherà la netta ed inconfondibile "silhouette" di un predatore dell'aria.

In Caffarella infatti caccia stabilmente il gheppio (Falco tinnunculus), il più piccolo falco italiano proveniente dalla città, dove nidifica su molti monumenti e palazzi come S. Pietro, il Monumento al Milite Ignoto, il Colosseo, S. Giovanni oppure da alcune zone rocciose dei Castelli Romani (a Roma nidificano più di 20 coppie, che costituiscono la popolazione urbana più consistente in Italia). Lo possiamo riconoscere facilmente dalle lunghe ali a falce, dal volo rapido e nervoso e dal colore bruno-rossastro.

Gheppio

(Falco tinnunculus)

gheppio
Gheppio

Come riconoscerlo: lunghezza: 32-35 cm; peso: 140-300 g; apertura alare: 69-90 cm (la femmina è sempre più grande come in tutti i falconidi).

Il maschio ha testa e collo grigio ardesia, mustacchio scuro, dorso e copritrici delle ali rosso mattone con piccole macchie nere, sopraccoda e groppone grigio ardesia. Le parti inferiori sono color crema picchiettate di nero.

La femmina ha la testa grigio-rossastra con mustacchio poco visibile, parti superiori rossicce con barre scure, parti inferiori crema-fulvo macchiettate di nero. I giovani sono molto simili alle femmine.

L'identificazione è molto facile per la forma agile e snella, le ali appuntite a falce, la coda lunga e stretta. Spesso usa il volo battuto e ancor più spesso fa lo "spirito santo" fermandosi a mezz'aria battendo le ali aiutato dal vento contrario. La voce è un acuto e forte "kii-kii-kii". Le sue borre (circa 4 cm) sono piccole, compatte e con resti di molti insetti.

Alimentazione: in gran parte piccoli mammiferi (soprattutto roditori), uccelli di piccole dimensioni, rettili, grossi insetti (grillotalpa, coleotteri).

Riproduzione: le parate nuziali avvengono tra la fine dell'inverno e l'inizio della primavera (ma spesso anche per il resto dell'anno); deposizione delle uova e cova tra aprile e maggio (4-6 uova di 40x32 mm, covate quasi esclusivamente dalla femmina mentre il maschio procura il cibo anche per la compagna); l'incubazione dura 28 giorni, a tre settimane i piccoli si nutrono da soli e si involano dopo 28-30 giorni (giugno-luglio). Nido in cavità, buchi o cornicioni e anche su vecchi alberi.

In Caffarella nidifica una coppia di gheppi, osservabili mentre cacciano sul fondovalle o posati su pali e ruderi.

Ma ancora di più dalla sua abitudine di fermarsi a mezz'aria, proprio come un elicottero, battendo freneticamente le ali e utilizzando il vento contrario. In questa posizione, detta dello "spirito santo" in quanto assomiglia a quella di molte immagini della terza persona della Santissima Trinità (la famosa colomba), osserva attentamente le sue prede, decide quale attaccare (in genere la più debole o in difficoltà) e parte poi in picchiata.

Oltre al gheppio altri rapaci possono trovare comodo procurarsi cibo o sostare nella valle: è stato segnalato il falco pecchiaiolo (Pernis apivorus) di passaggio nelle lunghe migrazioni dall'Africa.

Sono tutti segnali che nella valle la natura non è poi così malridotta. I rapaci, come tutti i predatori, si trovano infatti al vertice della piramide alimentare che, partendo dalle piante, attraverso erbivori e carnivori, permette il continuo passaggio di energia e il mantenimento dell'equilibrio naturale: le piante sono mangiate dagli erbivori che a loro volta sono divorati dai carnivori i quali, dopo la loro morte (come del resto tutti gli esseri viventi), vengono trasformati dai decompositori in elementi semplici che vengono utilizzati dalle piante. E così il ciclo ricomincia.

Un disequilibrio in uno qualsiasi dei livelli porterebbe al disequilibrio di tutto il sistema. E primi ad essere danneggiati sarebbero proprio i predatori nei quali si accumulano tutti gli inquinanti.

Trovarli ancora, quindi, nel bel mezzo della città, è un buon sintomo e uno stimolo in più per impegnarsi a conservare questo angolo di natura.


Adesso se vuoi puoi tornare all'introduzione.

Oppure puoi proseguire la visita con il V capitolo.


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copyright COMITATO PER IL PARCO DELLA CAFFARELLA, 25 agosto 2003