Il III miglio della via Appia Antica

  1. Il colombario dei Liberti di Augusto
  2. Le catacombe di S. Callisto
  3. Le catacombe di Pretestato
  4. Le catacombe ebraiche
  5. Le catacombe di S. Sebastiano
  6. Il circo di Massenzio
  7. Il Palazzo imperiale
  8. La tomba di Romolo
  9. La tomba di Cecilia Metella
  10. Il castello dei Caetani
  11. La visita del castello
  12. Il basolato della via Appia

Il colombario dei Liberti di Augusto

Dal Quo Vadis in poi la Caffarella è chiusa da un orribile e scandaloso muraglione continuo, che impedisce la visione di tutti gli altri monumenti presenti: sul lato sinistro, poco prima del colombario dei Liberti di Augusto, ci sarebbe il nucleo in calcestruzzo di un sepolcro a dado, mentre più avanti, al n. 91, una casa incorpora un sepolcro laterizio del II sec. d.C.

Unica eccezione a questo sconcio (e comunque all'interno di un ristorante) è il cosiddetto colombario dei Liberti di Augusto, uno dei più grandi colombari conosciuti, nel quale sono state recuperate migliaia di iscrizioni; la costruzione, in laterizio, è costituita da tre grandi ambienti affiancati, in origine coperti a volta, destinati alle sepolture. Un quarto ambiente, sopra quello centrale, era utilizzato per i riti funebri.

Le pareti delle tre stanze sono occupate da circa 3000 nicchie, allineate ed ordinate su tante file; all'interno delle nicchie vi sono le olle contenenti le ceneri dei defunti cremati.

colombario dei Liberti di Augusto
Il colombario dei Liberti di Augusto

I colombari di questo tipo erano generalmente posti sotto terra, e non contribuivano all'aspetto monumentale della via; in questo caso la costruzione era in superficie, e rappresenta quindi un'eccezione.

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l'architettura funeraria romana

Al numero civico 103, dietro il portale, si nasconde un bel fabbricato seicentesco, noto come "Villa Casali", alcune parti del quale risalgono al XIV secolo. Qui sorgeva la colonnina del II miglio, ricordata da una lapide sul lato destro della strada.

Proseguendo si raggiunge il cosiddetto ipogeo di Vibia (III-IV sec. d.C.), composto da tre gallerie con un cubicolo ornato da colonne e pitture; l'ipogeo ospitò contemporaneamente le sepolture sia di cristiani sia di pagani seguaci di Bacco Sabazio. L'ipogeo detto "dei Cacciatori" per le scene di caccia dipinte è segnalato poco più avanti; 60 metri dopo si incontra il sepolcro detto dei Volusii, di cui restano alcuni blocchi in opera quadrata di tufo.

Le catacombe di S. Callisto

Più avanti, sulla destra, s'apre l'ingresso alle Catacombe di S. Callisto, il primo cimitero ipogeo comunitario cristiano di Roma, voluto da papa Zefirino (188 d.C. - 217 d.C.) e gestito da Callisto quando era ancora diacono. Le catacombe, accogliendo molte sepolture di papi e di martiri, si caratterizzarono fin dal III secolo come il più importante sepolcreto cristiano di Roma; esse si formarono nel corso di più secoli, ma soprattutto al tempo del cristianesimo trionfante, dopo il famoso Editto di Costantino; nel IV sec. d.C. Roma era ormai diventata cristiana, e ognuno desiderava essere sepolto il più vicino possibile alle tombe dei martiri, per guadagnare un miglior posto in paradiso.

Esaurito lo spazio in superficie, le sepolture vennero collocate scavando nel sottosuolo, con gallerie su quattro piani per un'area di oltre 400 per 300 metri. I nuclei principali si trovano nelle "regioni" di Callisto (Cripta dei Papi, essendo ancora sul posto le tombe dei papi tra il I e il II sec. d.C.) e di Santa Cecilia (numerose iscrizioni indicano che la sua famiglia abbia posseduto un ipogeo in questo luogo) e nelle cosiddette Cripte di Lucina.

pilastro
Un sepolcro a pilastro nell'area delle catacombe

Più avanti, sul lato sinistro, si imbocca via Appia Pignatelli, che fino a via dell'Almone costeggia la valle della Caffarella. Questa strada fu costruita da papa Innocenzo XII (Antonio Pignatelli, 1615-1700) su un tracciato più antico.

Le catacombe di Pretestato

Abbandoniamo temporaneamente la via Appia Antica e costeggiamo la Caffarella lungo via Appia Pignatelli; anche qui sono presenti numerosi monumenti funerari.

Sulla sinistra due notevoli edifici antichi si affacciano su una grande corte quadrilatera parallela alla strada. La prima costruzione, chiamata sepolcro dei Calventii, è una grandiosa aula circolare di 9,47 metri di diametro interno, ancora parzialmente coperta da una cupola, e col tamburo articolato in sei absidi; l'edificio risale alla prima metà del IV secolo d.C. Accanto a questo si trova il cosiddetto sepolcro dei Cercenii (sempre del IV sec. d.C.); è formato da un'aula a croce angolata, dalla facciata sormontata da un timpano, coperta con una volta a crociera che si appoggiava su colonne angolari.

Mentre i due monumenti funerari appena visti sono costruiti nel sopraterra, altri sono scavati nel tufo, e infatti il sottosuolo è percorso dai cunicoli delle catacombe di Pretestato, nate nel II sec. d.C. e sviluppate nel secolo successivo.

Pretestato non risulta essere né un santo né un personaggio famoso, per cui è probabile che fosse il proprietario del terreno dove fu scavato il complesso ipogeo. I primi cristiani celebravano le loro riunioni liturgiche sempre alla luce del sole, nelle stanze di abitazione o nei saloni delle ville nobiliari private, e nel sottosuolo scendevano forse solo nel momento della sepoltura o della commemorazione di un martire.

Uno dei nuclei del cimitero si innesta in una grande cisterna abbandonata, che i pellegrini del medioevo chiamarono suggestivamente «spelunca magna». Qui furono sepolti il martire Gennaro (uno dei sette figli di S. Felicita), che ebbe grande venerazione nella Roma paleocristiana, il vescovo S. Urbano e il martire Quirino; i santi più venerati furono però Felicissimo e Agapito, due diaconi trucidati insieme al pontefice Sisto II durante la terribile persecuzione di Valeriano, che avvenne il 6 agosto 258 mentre si svolgeva una cerimonia religiosa nelle catacombe di S. Callisto.

L'altro nucleo ebbe origine dal grande recinto funerario a cui appartenevano i sepolcri dei Calventii e dei Cercenii, e si svilupperà nel sottosuolo per mezzo di un sistema di scale. Ai piedi della più grande di esse si apre un grande cubicolo dipinto della prima metà del III sec. d.C., quindi uno dei più antichi di Roma cristiana, chiamato cubicolo della «coronatio» per una scena che rappresenta una coronazione di spine.

L'ingresso e il soffitto sono decorati con elementi geometrici, fiori e piante; l'immagine del Buon Pastore circondato da anatre e pavoni è il simbolo del Cristo ordinatore del cosmo; rimangono alle pareti tracce di scene del Nuovo Testamento (la resurrezione di Lazzaro, il colloquio con la samaritana, la guarigione dell'emorroisa). Tra due loculi della parete sinistra si riconoscono due personaggi in abiti militari che toccano con rami di canna una terza figura, vestita con tunica e pallio, con in testa una corona di spine; la scena riproduce senza dubbio l'episodio della passione nel quale i soldati incoronano Cristo di spine. E' singolare la presenza di una scena violenta in un monumento così antico; a quanto pare, i primi cristiani di Roma vollero rappresentare qui un momento della passione di Cristo, infrangendo una regola dell'arte delle origini, che evitava le situazioni violente o negative per privilegiare scene della storia della salvezza oppure di un mondo paradisiaco popolato dai personaggi biblici.

Le catacombe ebraiche

Più o meno di fronte alle catacombe di Pretestato è l'ingresso delle catacombe ebraiche, molto estese, scoperte nel 1859.

Una colonia giudaica si era stabilita a Roma già nel II sec. a.C., divenendo col tempo sempre più numerosa (al tempo di Nerone si calcola che essa raggiungesse le 40-60.000 persone). A quanto risulta, fino a tutto il II sec. d.C. gli ebrei (come anche i cristiani) seguirono gli usi funerari dei pagani, senza impiantare cimiteri propri, e solo a partire dal III sec. d.C. cominciarono a diffondersi le catacombe, che a Roma ebbero il massimo sviluppo nel IV sec. d.C., e furono caratterizzate da accessi su strade secondarie, piante irregolari e scarsità di cubicoli (in confronto alle catacombe cristiane).

L'ingresso è costituito da un'aula allungata destinata alle cerimonie funebri; in origine (forse verso la metà del II sec. d.C.) di proprietà pagana, era a cielo aperto, e di quel periodo conserva tracce di muri in opera reticolata; in seguito la proprietà passò alla comunità giudaica, che divise l'aula in due collocando arcosoli in opera listata e coprì il tutto con una volta, forse per utilizzare l'ambiente come sinagoga.

In fondo si aprono due porte, di cui una conduce ad un pozzo per le abluzioni, e l'altra alla catacomba vera e propria. Lungo le gallerie, che prendevano aria e luce da numerosi lucernari, troviamo soprattutto tombe a "forma" (cioè scavate nel pavimento), loculi chiusi da mattoni, arcosoli e inoltre i "kôkim", o tombe a forno, strette e profonde, che riprendono un uso di origine fenicia; i "kôkim", a volte con più posti, sono collocati tutti insieme in una parte della catacomba.

Più avanti si raggiungono tre cubicoli dipinti, di cui l'ultimo, doppio, presenta numerose decorazioni: una Vittoria alata che incorona un giovane nudo, pavoni, uccelli, motivi floreali, pegasi alati, un ariete con il caduceo, la Fortuna con la cornucopia, cavalli, anatre, geni, ippocampi, vasi, pesci e colombe. Un'iscrizione giudaica che ricorda un "grammateuV" (il segretario della comunità) indica che i loculi non sono nati, come si potrebbe credere, come pagani per poi passare alla comunità ebraica, bensì fecero parte sin dalle origini del cimitero giudaico; la presenza di raffigurazioni umane e di simboli pagani testimonia piuttosto quanto forte sia stato l'influsso dell'ellenismo nell'ambiente giudaico della diaspora. Nonostante il gran numero di iscrizioni, non è stata trovata nessuna scritta in ebraico.

Le catacombe di S. Sebastiano

Torniamo alla via Appia da dove l'avevamo lasciata. Dopo il successivo bivio con la via delle Sette Chiese s'apre uno spiazzo: a sinistra si leva la colonna eretta nel 1852 a ricordo dei lavori di sistemazione della via Appia compiuti da Luigi Canina per volere di papa Pio IX; a destra sorge la Basilica di S.Sebastiano.

ingresso
L'ingresso delle catacombe

Le Catacombe di S. Sebastiano furono le prime ad esser indicate con l'espressione derivata dal greco "Kata KumbaV", che significa "presso la cavità" e dalla quale fu tratto il nome usato per designare tutti i cimiteri sotterranei; iniziate dopo la metà del III sec., sono le uniche rimaste sempre accessibili e frequentate.

Le catacombe si innestano in un complesso sistema stratigrafico esteso per ben 12 km, che vede una cava di pozzolana abbandonata diventare nel II sec. d.C. sede di alcuni sepolcri pagani (tra i quali i tre colombari con pitture e decorazioni che si vedono sotto la basilica), per essere poi ampiamente sviluppata quando diventerà cimitero cristiano.

Un ambiente era dedicato ai refrigeria, i pasti rituali in onore degli apostoli; per questo in età costantiniana (inizi del IV secolo) sarà costruita la basilica monumentale, intitolata ai santi Pietro e Paolo («memoria apostolorum») da quando (258 d.C.) le loro reliquie vi furono trasferite; ciò non avvenne, come alcuni credono, di nascosto, bensì alla luce del sole: la Chiesa riteneva necessario che i suoi apostoli potessero essere venerati in un sepolcro idoneo, che sorgesse proprio sulla via Appia.

Dopo il IX secolo il complesso fu dedicato al martire sepolto nelle adiacenti catacombe; l'aspetto attuale della basilica è dovuto al rifacimento nel XVII sec.. Dei quattro piani di gallerie si visita solitamente il secondo.

Il circo di Massenzio

Dalla via Appia la vista spazia ora sul circo di Massenzio. L'edificio, lungo ben 513 metri e largo nel punto più ampio 91, fu costruito colmando una vallecola che probabilmente aveva la forma di un ippodromo. Per colmare la valle fu sbancata la collina in Caffarella dove ora spicca una grande cisterna: quest'ultima doveva essere in origine sotterranea, e fu quindi rinforzata con un bordo in blocchi di tufo. Il circo mostra ancora in buono stato i vari elementi.

Le gradinate, sulle quali potevano trovare posto oltre 10.000 spettatori, presentano, nel nucleo cementizio delle volte di sostegno, delle anfore di terracotta che servivano ad alleggerire la struttura.

La spina (cioè l'asse centrale del circo lungo 296 metri) era limitata da due metae semicircolari, ed aveva in mezzo numerose vasche per l'innaffiamento del campo, che nel loro insieme costituivano un canale (euripus), ed erano intramezzate da due edicole su colonne che sostenevano le sette uova e i sette defini, destinati ad indicare i giri di pista da compiere. Le statue delle divinità protettrici (prima tra tutte quella della Magna Mater) ricordavano che gli spettacoli erano in origine cerimonie religiose.

L'ingresso trionfale al circo per gli spettatori è l'arco che si apre nel lato curvo vicino alla Caffarella, certamente non transitabile dai carri, perché preceduto da una gradinata; qui furono scoperti nel 1825 i frammenti con la dedica a Romolo, figlio di Massenzio che permisero l'identificazione dell'intero complesso.

arco trionfale
L'arco trionfale

Dal lato ovest si vedono i 12 box di partenza (carceres), al centro dei quali è la grande porta d'ingresso dei carri, ora quasi distrutta, ma originariamente coperta ad arco. Alle estremità si innalzano due torri, di pianta quadrata, con il lato verso la facciata curvo (ricordano un po' porta S. Sebastiano). Due ulteriori ingressi per gli spettatori si aprivano anche tra le torri e le gradinate, e un altro lungo il lato sud, di fronte alla tribuna dell'imperatore. Gli spettatori poi si suddividevano in fazioni, a seconda della squadra per cui facevano il tifo; c'era la squadra bianca, la rossa, la verde e l'azzurra (Albata, Russata, Pràsina e Vèneta).

Dai box il magistrato addetto alla corsa dava il via lasciando cadere la "mappula"; la corsa era un appuntamento importantissimo perché fulcro della politica di consenso imperiale, quella che Giovenale definiva con "panem et circenses" in quanto si basava sull'elargizione gratuita di grano al popolo e su grandi spettacoli di massa.

Il centro del circo era ornato dall'obelisco di Domiziano, simbolo del Sole (nella simbologia egizia l'obelisco era il raggio di Sole solidificato), ed elemento chiave di una complessa rappresentazione che vedeva nei carri che correvano intorno alla spina una celebrazione del cosmo. Proprio questo obelisco nel 1651 fu recuperato dal Bernini e sistemato sulla fontana dei fiumi al centro di piazza Navona. Nonostante l'assenza dell'obelisco, il circo di Massenzio è il miglior esempio di circo romano a noi giunto dall'antichità. Il motivo è forse la morte di Massenzio, avvenuta nel 312 d.C. ad opera di Costantino; ciò provocò infatti l'abbandono del complesso, ed è possibile che il circo non sia stato addirittura mai usato: non si sono trovate infatti tracce della sabbia che avrebbe dovuto coprire la pista, mentre nuclei di cappellaccio esistenti in essa avrebbero in ogni caso reso impossibile la corsa.

Il circo di Massenzio costituisce un'unità strutturale con il palazzo e con il mausoleo, insieme ai quali fu concepito e realizzato in opera listata, con alternanza di tufelli e mattoni. La tribuna destinata all'imperatore e alla sua famiglia (pulvinar) sorge sul lato nord-est del circo, e di lì un lungo porticato si collega infatti al palazzo.

Il Palazzo imperiale

"Quale altra speranza si può credere ch'egli (Massenzio) abbia avuta? Egli che aveva già abbandonato due giorni prima il palazzo (sul Palatino); con la moglie e con il figlio spontaneamente si era ritirato nella sua casa privata, agitato per la verità da sogni terrificanti e perseguitato da furie notturne, perché tu (Costantino), la cui presenza era già da lungo tempo desiderata, potessi succedergli in quelle dimore sacre dopo lunghe purificazioni e sacrifici espiatori".

Così l'Anonimo Cronografo ci descrive l'imperatore Massenzio in questa sua villa al III miglio della via Appia prima della sconfitta del 312 d.C. ad opera di Costantino avvenuta nei pressi del ponte Milvio; Massenzio, divenuto imperatore per acclamazione nel momento in cui doveva entrare in funzione il meccanismo della successione tetrarchica inventato da Diocleziano (e con lui fallito), riportò la capitale da Milano a Roma, dove si adoperò, nel corso del suo breve regno (306-312), in grandi opere pubbliche tra le quali la residenza imperiale.

La zona prescelta dall'imperatore per la costruzione del suo palazzo si trovava in una posizione prestigiosa e dominante sulla regina viarum, l'Appia, ed era stata una proprietà privata prima di essere annessa al patrimonio imperiale, apparteneva infatti in origine, con tutta probabilità, alla celebre villa di Erode Attico.

Tuttavia mentre gli svariati edifici del Triopio di Erode Attico (villa padronale, piccole borgate rustiche, boschi sacri, ninfei, templi, sepolcri) erano sparsi nel verde della campagna coltivata, Massenzio al contrario progettò un complesso chiuso di costruzioni interdipendenti, dove palazzo, circo e mausoleo contribuivano, ognuno con il suo significato simbolico, all'affermazione dell'idea della sacralità imperiale.

Il complesso di residenza, circo e tomba si ispira alla concezione di esaltazione della figura dell'imperatore tipica della tetrarchia, tra la fine del III e gli inizi del IV secolo, alla fine della storia di Roma. I quattro imperatori che governavano il grande Impero si fecero erigere nelle città assurte a nuove capitali (Milano, Treviri, Salonicco, Nicomedia, Aquileia, ecc.), insieme al palazzo imperiale anche il circo destinato all'esaltazione pubblica e il mausoleo con le tombe degli antenati divinizzati, portando all'estremo il modello della residenza imperiale del Palatino.

Il palazzo dall'alto della collinetta dominava con i suoi grandi ambienti absidati il circo, che occupava a sua volta una valletta naturale, nonché la tomba della famiglia imperiale con l'ingresso rivolto verso l'Appia, la via sepolcrale per eccellenza.

Alla morte di Massenzio la proprietà passò probabilmente a Costantino, in seguito divenne possesso della chiesa di S. Sebastiano, poi dei conti di Tuscolo, dei Cenci e dei Torlonia finché l'area monumentale passò al Comune di Roma.

Dei tre edifici che compongono la villa imperiale, il palazzo è certamente quello meno conservato: rimangono in piedi solo le parti absidali di tre grandi ambienti, il centrale dei quali, conosciuto come tempio di Venere e Cupido, è il fulcro dell'intero edificio da interpretarsi come "aula palatina" destinata alle udienze imperiali.

Quest'aula era preceduta da un atrio comunicante con il porticato, lungo circa 200 metri e affrescato, che permetteva all'imperatore di passare direttamente dall'abitazione al palco imperiale nel circo. In effetti l'ingresso dell'imperatore si svolgeva come cerimonia ieratica, che anticipava il culto della personalità tipico delle cerimonie bizantine e caratteristico della mentalità orientale.

Il palazzo si imposta su resti di edifici precedenti che subirono numerosi rimaneggiamenti dall'epoca della loro creazione da parte degli Annii nel I sec a.C. fino all'insediamento dell'imperatore agli inizi del IV sec. d.C.

La prima fase, del I sec. a.C., era in opera quadrata e incerta. Risale a quest'epoca la costruzione della villa originaria con ampio criptoportico. Nella seconda fase, di età giulio-claudia, vengono costruiti due ninfei in opera reticolata che movimentavano la fronte della villa verso l'Appia; nel punto più alto della collina (in Caffarella, di fronte a S. Urbano) una grande cisterna provvedeva al fabbisogno idrico degli abitanti del suburbio.

Segue un'importante fase del II sec d.C. quando Erode Attico, proprietario dell'area, ristrutturò la villa, costruendo i due gruppi di ambienti attualmente visibili ai lati della più tarda "aula palatina" e il complesso termale, di cui rimangono ancora oggi visibili tre vasche rivestite di marmo.

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Infine la quarta fase è quella di Massenzio che trasformò la villa in Palazzo imperiale, con l'aggiunta di grandi ambienti prestigiosi e rappresentativi in opera listata, oltre che il mausoleo.

La tomba di Romolo

Di fronte al Circo, orientato sulla via Appia, si erge il mausoleo, detto di Romolo dal nome del figlio di Massenzio, morto in giovane età e qui sepolto nel 309 d.C.. E' probabile che venne poi trasformato in tomba dinastica, destinata a tutta la famiglia imperiale, come dimostra il numero dei loculi esistenti in essa. Ben conservato è il grandioso quadriportico perimetrale in opera listata, con archi su pilastri con semicolonne in laterizio, coperto da piccole volte a crociera; oltre all'ingresso principale, si aprivano altre due porte, in direzione del circo e del palazzo. Non è, stata trovata traccia di rivestimenti (intonaco, marmo ecc.), piuttosto restano perfettamente visibili i fori destinati a sostenere le travature lignee.

Al centro del portico sorge il sepolcro vero e proprio; si tratta di un edificio circolare di circa 33 m di diametro, preceduto da un pronao rettangolare con fronte dotata di sei colonne, sul quale nel XVIII sec. fu addossato un casale. Non sono più visibili i blocchi di marmo del rivestimento, dei quali però restano alcuni frammenti sotto il piano di calpestio.

Il complesso, che doveva essere simile al Pantheon, fu studiato dai più grandi architetti del passato, da Sebastiano Serlio a Raffaello; il Palladio si ispirò alla tomba di Romolo (applicandole il lanternino e altri elementi barocchi) quando costruì le sue celebri ville. Tutto ciò rende l'idea del senso di continuità con cui gli architetti del Rinascimento studiavano i monumenti antichi, e dell'abilità tecnica che veniva riconosciuta in queste grandi opere.

Entriamo allora nel casale settecentesco e ci ritroviamo all'interno del pronao colonnato; il mausoleo era costituito da due piani, dei quali resta ora solo l'inferiore, nel quale scendiamo. Questa è la camera funeraria, e consiste di un ambiente circolare con al centro un enorme pilastro; nel muro perimetrale si aprono delle nicchie, alternativamente rettangolari e semicircolari, nelle quali erano collocati i sarcofagi dei defunti (quindi sicuramente del figlio di Massenzio).

Anche nel pilastro centrale si aprono otto nicchie disposte secondo lo stesso schema.

Quasi interamente scomparso è l'ambiente superiore, destinato alla celebrazione pubblica del figlio divenuto "Divo" ("Divo Romolo" recita l'iscrizione del circo), assunzione che era possibile solo agli imperatori, secondo modelli di origine orientale. Il sepolcro doveva essere infine coperto da una grandiosa cupola, e fu probabilmente rappresentato anche in un gruppo di monete coniate da Massenzio in onore del figlio divinizzato. Di tutto questo resta una terrazza pavimentata in sampietrini moderni.

Addossato al lato sud-est del recinto troviamo il cosiddetto sepolcro dei Servilii che, nonostante fosse molto più antico della tomba di Romolo (è probabilmente di età augustea), era comunque un edificio sacro e quindi fu rispettato. Il sepolcro è costituito da un basamento quadrato in calcestruzzo sormontato da un tamburo a nicchie, al cui interno la camera funeraria, sufficientemente ben conservata, è decorata da stucchi.

La tomba di Cecilia Metella

Questo tratto della via Appia è dominato dall'imponente mausoleo di Cecilia Metella, una tomba colossale costruita verso il 50 a.C.; Cecilia Metella era figlia del console Quinto Metello, detto Cretico dopo la conquista dell'isola di Creta, ed era moglie di Marco Crasso, figlio di uno dei più leggendari personaggi di Roma: il ricchissimo Marco Licinio Crasso, che soffocò nel sangue la rivolta degli schiavi capeggiati da Spartaco, che formò con Cesare e Pompeo il primo triumvirato, e che trovò un'orrenda morte in una spedizione contro i Parti.

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Cecilia Metella doveva quindi essere un personaggio molto importante, al punto di ricevere una tomba così imponente in un punto sopraelevato della via Appia: qui la pendenza naturale del terreno crea un punto di vista privilegiato, tant'è che oggi questa tomba è un po' il simbolo della strada.

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La tomba di Cecilia Metella è costituita da una base a pianta rettangolare sormontata da un tamburo cilindrico.

Della base, alta 8 metri, rimane solo il nucleo in calcestruzzo di selce, mentre del rivestimento si vedono solo i blocchi di travertino di ammorsamento che non fu conveniente asportare; il cilindro, alto ben 11 metri e dal diametro di 30 metri, è ancora rivestito di travertino; la sua forma lo collega al genere architettonico del mausoleo di tradizione ellenistica, che proprio in quel periodo raggiungeva a Roma la massima diffusione.

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Sul tamburo una iscrizione in marmo pentelico ricorda brevemente Cecilia Metella, mentre un fregio in rilievo rappresenta dei trofei di guerra, insieme a bucrani (crani bovini) sormontati da festoni di foglie e frutta. Proprio dai crani bovini che decorano il festone la zona ha assunto il curioso toponimo di "Capo di Bove".

La sommità del tamburo è delimitata da una cornice, al di sopra della quale si trova il ballatoio con la merlatura medievale; è però ancora parzialmente visibile la merlatura antica in travertino, che, assieme ai fregi guerreschi, richiama la tradizione italica che voleva il sepolcro simile ad una fortezza.

Sul cilindro si trovava anche un tumulo di terra a forma di cono rovesciato, dove probabilmente crescevano dei cipressi. E' una tipologia caratteristica dei sepolcri etruschi, che a Roma ritroviamo nel contemporaneo mausoleo di Augusto.

L'interno era a due piani: il piano inferiore, che conteneva il corpo di Cecilia Metella, è costituito da una camera circolare, stretta e molto alta, in origine ricoperta da una volta conica; per proteggere la camera dall'umidità, le pareti sono rivestite con estrema cura in laterizio, con tegole sottili, spezzate e arrotate sul lato frontale. Per entrare nella camera funeraria esiste, accanto all'ingresso del castello, una scala che scende in basso, che fu costruita dal Muñoz all'inizio del '900 per raggiungere un piccolo corridoio che fa accedere alla base della camera; del corridoio, antico come la tomba, non è stato ancora ritrovato l'ingresso originale. Possiamo però anche affacciarci all'interno della tomba percorrendo una stretta galleria, analoga al "dromos" di accesso dei tumuli etruschi, che si trova alla stessa quota dell'ingresso del castello. Si saliva infine al piano superiore per mezzo di una scala medievale, ora inaccessibile.

Il castello dei Caetani

La posizione elevata della tomba, che consentiva contemporaneamente il blocco della via Appia Antica nonché il controllo dell'arco sudorientale delle Mura, del ponte sull'Almone e di un tratto della via Latina, fece sì che essa, sin dal periodo bizantino, venne utilizzata come luogo fortificato, e questa riutilizzazione ha permesso la sopravvivenza del monumento.

la tomba inglobata nel castello
La tomba inglobata nel castello

E' tuttavia nel X secolo che il luogo assunse una grande importanza strategica; in quel periodo si sviluppava, nella campagna romana semi-abbandonata, il fenomeno del feudalesimo suburbano; parallelamente, la necessità che i baroni avevano di controllare la campagna e le vie di comunicazione provocò la costruzione un po' dovunque di torri di difesa, spesso edificate su edifici romani in rovina (come nel caso appunto del castello di Cecilia Metella).

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Nel 1080 la zona era di proprietà dei Conti di Tuscolo, i quali inglobarono il mausoleo in un fortilizio che scavalcava la via Appia Antica, realizzato con la tipica tecnica costruttiva dei in blocchetti di peperino (proveniente dalla zona della città di Marino) parallelepipedi.

Il sepolcro ebbe il ruolo di "maschio" angolare, mentre il recinto era protetto da sedici torrette rettangolari munite di finestre, delle quali otto sono ancora in piedi (potrebbe appartenere a quel periodo il muraglione che si vede nel perimetro esterno del castello dalla parte della Caffarella, sormontato da un grande arco di scarico cieco).

All'interno del mausoleo, sul lato Est, si riconosce un grosso muro a speroni, probabilmente costruito dai Conti di Tuscolo se non ancora prima, mentre sul lato Ovest si vede una piccola cisterna, fondamentale in caso di assedio.

Gli ingressi del castello, in corrispondenza del passaggio della via Appia Antica, erano costituiti da archi in muratura e potevano essere sbarrati con delle porte a doppio battente (dal lato della strada opposto al mausoleo si vede uno stipite del XVII sec.).

La fortezza aveva un duplice scopo: in primo luogo controllare sia porta S. Sebastiano, che era uno dei punti deboli delle Mura, sia la via Appia Antica, che conduceva ai possedimenti dei Conti nel Lazio meridionale; in secondo luogo controllare, proteggere e amministrare la proprietà circostante, comprendente il Circo di Massenzio e la tomba di Romolo.

La fortificazione forniva quindi, oltre ad una notevole potenza offensiva, anche una base economica, per mezzo delle coltivazioni, dell'allevamento, e dell'imposizione di un pedaggio su chi attraversava il castello per passare da una parte all'altra della via Appia Antica.

Finché i Conti di Tuscolo ne rimasero proprietari, il castello sfruttò in minima misura le sue potenzialità belliche, mentre per la maggior parte del tempo esso ebbe un pacifico ruolo di centro amministrativo e residenziale per il Conte e la sua famiglia.

Con la decadenza dei Conti di Tuscolo il castello di Cecilia Metella entrò in una fase turbolenta, proprio per la sua posizione appetibile per gli altri baroni, e minacciosa per la città di Roma.

Grazie alla elevazione al pontificato, papa Bonifacio VIII (Benedetto Caetani, 1235-1303) ebbe l'occasione di impadronirsi più o meno legalmente della tomba di Cecilia Metella e dei terreni intorno, che furono quindi ceduti ai suoi parenti.

In questo periodo il castello raggiunse la massima potenza e il massimo splendore, arrivando a contenere più di 50 costruzioni (tra stalle e case per la guarnigione e per i lavoratori), alcune chiese per le necessità spirituali, e naturalmente il palazzo baronale.

muro castello
Il muro perimetrale con una delle 16 torri

Il mausoleo venne rinforzato con la creazione di un ballatoio superiore di legno, del quale restano la risega nel muro, alcune mensole di marmo e le finestrelle a bocca di lupo per il tiro con le balestre; il ballatoio era sormontato dal camminamento di ronda col parapetto contornato da merli ghibellini. All'esterno dei merli si riconoscono degli anelli di marmo che servivano a reggere, negli spazi tra merlo e merlo, degli sportelli movibili a scopo di protezione.

Approfondisci:
il castello medievale

Costruito dai Caetani a ridosso del mausoleo, il palazzo, orlato anch'esso di merli ghibellini, presenta la stessa tecnica costruttiva (struttura quadrangolare e blocchetti di peperino parallelepipedi) delle torri medievali della Caffarella, così come delle costruzioni di vario genere commissionate dai Caetani nel Lazio.

ingresso con capo di bove
Un capo di bove all'ingresso del castello

Il luogo era come al solito occupato da sepolcri di vario genere, come si vede anche dalla forma curva del muro esterno dal lato della via Appia Antica, probabilmente dovuta alla presenza di un sepolcro circolare; in uno scavo condotto nel 1985 lì dove ora è collocata la guardiania sono stati trovati un sarcofago di terracotta con all'interno, accanto ai frantumi dello scheletro, un corredo costituito da 16 monete di bronzo, che fanno risalire la sepoltura al primo quarto del IV sec. d.C.

La famiglia Caetani è ricordata dalla targa marmorea con le "onde" scolpite affissa sul portone del palazzo. All'interno, in stanze illuminate da bifore di marmo e affrescate con motivi floreali, il barone si occupava degli affari, risiedeva con la famiglia e conduceva la vita sociale.

Con la costruzione del palazzo si completò il sistema difensivo del castello: il ballatoio superiore del mausoleo poteva infatti essere raggiunto esclusivamente dalla sommità del palazzo, per mezzo di un ponte levatoio che era proprio sopra l'attuale portone di ingresso.

A metà altezza del tamburo cilindrico si riconosce la piccola porta riquadrata negli stessi blocchi di rivestimento, e la scala che sale al ballatoio. In caso di assedio, si creava una triplice possibilità difensiva: prima il castello con le sue 16 torri, poi il palazzo, e infine il mausoleo, ultima risorsa per una difesa necessariamente di breve durata.

Ancora oggi resta la piccola chiesa di S. Nicola di Bari, un raro esempio a Roma di chiesa in stile gotico, posta all'interno del recinto fortificato ma fuori del palazzo baronale; ciò per consentire agli abitanti del borgo attorno al palazzo di recarsi in chiesa senza disturbare il barone.

S. Nicola
La chiesa di S. Nicola

I Caetani possedettero la tenuta fino alla morte di Bonifacio VIII nel 1303. Subentrarono allora i Savelli che occuparono Cecilia Metella per dieci anni, facendone un ricco concentramento di truppe.

Nel 1312, durante la guerra tra l'imperatore Enrico VII e papa Clemente V, il castello dimostrò la sua utilità più offensiva che difensiva. Nel corso della guerra Giovanni Savelli si schierò, per motivi di denaro (doveva all'imperatore 10.000 marchi d'argento) contro l'Impero; il castello subì quindi il fierissimo attacco da parte delle truppe imperiali, che dopo un breve assedio lo espugnarono e lo saccheggiarono provocando gravi danni alle strutture.

L'anno successivo il castello fu quindi occupato dai Colonna, e successivamente dagli Orsini. Ridotto ormai a semplice luogo di accampamento, il fortilizio fu devastato dal passaggio di Carlo V (1536) e di Marcantonio Colonna (1571), venne infine smantellato per ordine di Sisto V.

La visita del castello

marmi dentro al castello
Raccolta di reperti dentro al castello

Negli anni '10 del secolo scorso, prima del fascismo, Antonio Muñoz, che era un architetto archeologo, allestì una piccola raccolta di materiali archeologici recuperati nell'area del mausoleo, provenienti dai ritrovamenti durante gli scavi pontifici condotti da Luigi Canina, dagli scavi eseguiti da Rodolfo Lanciani e dal Fiorelli per la costruzione del Forte Appio, dal deposito situtato presso il casale di S. Maria Nova e nel mausoleo rotondo che sorge poco dopo la cosiddetta tomba di Seneca.

statue dentro al castello
Le statue dentro al castello

La raccolta è stata arricchita nel corso degli anni e oggi comprende frammenti architettonici e scultorei, sarcofagi, urne cinerarie e 175 iscrizioni (di cui 10 sono in lingua greca) provenienti da vecchi scavi.

urne cinerarie dentro al castello
Le urne cinerarie dentro al castello

Un'iscrizione particolarmente significativa è quella che accoglie il visitatore appena saliti i gradini del castello, che recita:

HOC EST FACTVM MONVMENTVM
MAARCO CAICILIO
HOSPES GRATVM EST QVOM APVD
MEAS RESTITISTEI SEEDES
BENE REM GERAS ET VALEAS
DORMIAS SINE QVRA

Marco Cecilio
Iscrizione di Marco Cecilio

Si tratta dell'iscrizione di Marco Cecilio (che fu trovata poco oltre il mausoleo a piramide che precede la villa dei Quintili), ed è uno dei più deliziosi epitaffi in verso saturnio, scritto verso la fine del II sec. a.C. (Peter Kruschwitz, Carmina Saturnia Epigraphica, Stuttgart: F. Steiner, 2002, A.O. Mercado, A New Approach to Old Latin and Umbrian Poetic Meter, 2003). I versi significano "questo monumento è stato fatto da Marco Cecilio; grazie, viaggiatore, di restare in questo luogo, ti auguro che gli affari e la salute ti vadano bene e di dormire libero da preoccupazioni", e si dovrebbero leggere così:

hòspes gràtest / quàpud mèas
rèstitìsti / sèdes
bene rèm gheràs / et uàleas
dòrmiàs / sine cùra

Nel muro esterno del castello accanto alla porta furono cementate due statue, entrambe del II sec. d.C.: una è la statua di un importante personaggio, forse un imperatore, con la lorica e la clamide, accanto una statua panneggiata rappresenta un personaggio femminile.

Superato il portone di ingresso una scala conduce alle fondamenta del castello, dove è visibile il fronte della colata lavica. In una torretta una vetrina ospita frammenti di ceramiche che vanno dal XIII al XVI secolo recuperate durante gli scavi del 1998/1999.

colata lavica
Le fondamenta del castello

Il basolato della via Appia

Circa 80 metri più avanti era posta la colonnina del III miglio. Nel tratto di strada che da Cecilia Metella arriva fino al bivio con via di Cecilia Metella è visibile un tratto dell'antica pavimentazione stradale con i grandi basoli di lava vulcanica. Durante i lavori di ripristino della pavimentazione condotti dal Comune di Roma e dalla Soprintendenza Archeologica di Roma nel 1999, per non creare un impedimento al traffico automobilistico, i basoli sono stati estratti dal terreno per essere quindi ricollocati all'incirca mezzo metro più in alto.

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Adesso se vuoi puoi tornare ai monumenti del secondo miglio della via Appia Antica.

Oppure puoi proseguire la visita lungo la via Appia Antica con il quarto miglio.


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copyright COMITATO PER IL PARCO DELLA CAFFARELLA 20 maggio 1999