Itinerario naturalistico nella valle della Caffarella: capitolo 3


Nel regno dei fiori e dei volatori di professione

  1. Tasso barbasso
  2. Sanguinella

Eccoci finalmente fuori dal canalone che ospita il boschetto di robinie. Un ultimo tratto del sentiero tra alte felci ci porta, con una leggera salita, sul grande pianoro che domina la valle dell'Almone.

pianoro
Il pianoro che domina la valle dell'Almone (autore: Alberto Dominici)

Il vento, il leggero "ponentino", ci colpisce il viso portando i profumi della natura. Tutto intorno a noi è una tavolozza di colori: sono i colori del prato, costituito di erbe rustiche, resistenti al pascolo, ai venti e alle intemperie, e di bassi cespugli spinosi.

Con l'avanzare della stagione favorevole, tutto l'altopiano si copre di svariate specie di fiori: il ginestrino (Lotus ornithopodioides), che alla base delle foglie ha due stipole che sembrano altre due foglioline; l'anemone fior stella (Anemone hortensis), la gialla linajola (Linaria vulgaris) molto simile alla coltivata bocca di leone, e molte altre a seconda della stagione.

linaria
Linaria (autore: Margherita Leigheb)

E ancora la piccolissima pianta del toccamano (Sherardia arvensis) dai vivi fiori color rosa-lilla, la ruchetta selvatica, la mentuccia (qui abbondantissima), i fiorellini rosa della garofanina vellutata (Petrorhagia velutina), la borragine (Borago officinalis) dai cinque petali azzurri, ottima per le frittate.

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Borragine (autore: Arnaldo Molinari)

Questo ambiente di prato-pascolo è molto importante: si trova dalla Spagna alla Sicilia fino al Nord Africa, ma probabilmente è originario proprio di qui, e la civiltà romana lo ha poi diffuso in tutto il Mediterraneo occidentale mano a mano che l'uomo ha modificato gli ambienti preesistenti. In mezzo alle numerosissime graminacee troviamo anche il caratteristico centonchio dei campi (Anagallis arvensis) originale soprattutto per il suo colore "salmone" (raramente azzurro), il giallissimo dente di leone (Taraxacum officinalis) utilizzato anche per gustose insalate, la carota selvatica (Daucus carota) dal grosso ombrello fiorifero, molto simile a quello del finocchio selvatico (Foeniculum vulgare) anch'esso presente in grande quantità; quest'ultimo ha i semi dal profumo aromatico molto intenso, e per questo si utilizzano in cucina e nella medicina popolare.


Finocchio (autrici: Benedetta Vangi e Julia Schilling)

Per non parlare della cicoria (Cichorium intybus), che cresce su questo come sugli altri pianori, così come la comunissima margherita o pratolina (Bellis perennis) o la salvia selvatica (Salvia verbenaca).

Tra tanti profumi, fin da febbraio, emerge quello forte e penetrante della euforbia calenzuola (Euphorbia helioscopia), la più piccola delle euforbie (tutte molto velenose) dal fiore a ombrello di un colore verde-giallognolo.

Ancora più forte, e alle volte anche disgustoso, è il profumo dell'enula (Inula viscosa) che in queste zone raggiunge ragguardevoli dimensioni, quasi da cespuglio. Tipica pianta mediterranea coperta di peli "vischiosi" e appiccicosi (assieme al forte odore è il suo sistema per difendersi dagli erbivori) è riconoscibile anche per i fiori gialli molto simili alle margherite. E altrettanto giallo è il fiore del tasso barbasso (Verbascum thapsus, Verbascum sinuatum), pianta che può raggiungere anche i due metri di altezza.

Tasso barbasso, verbasco

(Verbascum thapsus)

tasso barbasso
Tasso barbasso

Come riconoscerlo

famiglia: Scrofulariaceae

altezza: da 30 cm a 1,2 metri; fusto: semplice, si alza da una rosetta di foglie basali; fiori: infiorescenze fittamente addensate di colore giallo (giugno-luglio); foglie: quelle basali sono lanceolate, quelle lungo il fusto sono in parte appressate a quest'ultimo; frutti: capsule che, a maturità, si aprono in due valve.

Curiosità

Il nome popolare di "verga di Aronne" deriva dal racconto dell'Antico Testamento in cui si narra che il bastone di Levi su cui era stato inciso il nome di Aronne, appena introdotto nel tabernacolo si coprì di fiori, proprio come la nostra pianta. Il nome "verbascum" deriva dall'alterazione di "barbascum", che fa riferimento alla fitta peluria di tutta la pianta.

Citata da Manzoni nei "Promessi Sposi" come una delle erbacce della vigna di Renzo, è invece ottima pianta medicinale. Grazie al contenuto di mucillagini, le foglie in infuso esercitano un'azione calmante ed espettorante contro la tosse. Gli impacchi, sempre delle foglie, hanno proprietà emollienti per le ferite difficilmente rimarginabili.

A Roma è localizzato soprattutto nel settore Sud-orientale.

Si trova su tutti prati soggetti a pascolo, ma soprattutto sull'altopiano tufaceo.

Tra tutti spicca l'inconfondibile papavero (Papaver rhoeas). Guardiamolo con attenzione: il comunissimo rosso fiore delle messi sta infatti correndo il rischio di scomparire.

papavero
Papavero (autore: Margherita Leigheb)

Il grande utilizzo di diserbanti (prodotti chimici per eliminare le cosiddette piante infestanti) nella coltura dei cereali, lo stanno infatti portando alla scomparsa. Lo troviamo ormai solo lungo i margini dei campi dove non arrivano i "killer" chimici o in luoghi, come questo, assolati e selvaggi.

Già un suo compagno di ambiente, il celeste e delicato fiordaliso (Centaurea cyanus) è quasi scomparso. Eppure fino a pochi anni fa tutti i bambini delle elementari disegnavano la classica composizione: una spiga, un papavero e un fiordaliso.

Oro, rosso e celeste: i tre colori che dominavano l'estate e che forse non vedremo più se continueremo ad usare prodotti chimici che risultano dannosi all'ambiente e all'uomo stesso. Ma in Caffarella il papavero c'è, abbondante: sui pascoli, lungo i fossi, a fianco dei sentieri, nei campi coltivati. Lasciamolo comunque al suo ambiente, non cogliamolo. Così come non dovremmo cogliere nessun fiore, anche il più semplice e comune. In fondo non è giusto che solo noi godiamo di questo incredibile spettacolo della natura: facciamo in modo che a goderne siano anche le persone che ci seguiranno.

E poi che senso ha cogliere dei fiori che, nella migliore delle ipotesi, dopo pochi giorni saranno tutti appassiti? Molto meglio goderne qui, nel loro habitat naturale, assieme all'ambiente che li ospita.

La tavolozza di colori che è la Caffarella in primavera viene gradualmente sostituita dal trionfo delle graminacee, alcune molto vistose: l'erba mazzolina (Dactylis glomerata), che ha un'infiorescenza molto ricca (tremenda per chi è allergico ai pollini), deve probabilmente al suo patrimonio genetico tetraploide la sua straordinaria diffusione sin dall'antichità.

Altre tre grosse graminacee annue, ottime piante da foraggio, sono l'avena maggiore (Avena sterilis), l'orzo mediterraneo (Hordeum murinum subsp. leporinum) e il grano villoso (Dasypyrum villosum); i loro semi si diffondono ovunque restando attaccati agli animali (ma anche agli uomini!), e poi penetrando nel terreno grazie ad un curioso meccanismo: i dentelli di giorno si seccano e si contraggono, di notte si dilatano con l'umidità, e in questo modo il seme penetra nel terreno.

dasypyrum
Dasypyrum villosum (autore: Arnaldo Molinari)

Le piante annue (terofite) sono favorite nei terreni aridi, dove l'humus è scarso e rapidamente asciugato dal sole mediterraneo. Esse sopravvivono alla "stagione avversa" sotto forma di seme: le graminacee, al momento della mietitura, sono già morte e non tornano verdi se le si innaffia. Al contrario, le piante perenni (geofite) sopravvivono alla stagione avversa sotto forma di tubero, rizoma o bulbo; il bulbo è una specie di gemma trasformata, tant'è che ha intorno le foglie.

Fatta questa rapida e per forza di cose limitata conoscenza con i fiori "locali" (sono ben 359 le specie vegetali finora censite in Caffarella), ci inoltriamo nel pianoro seguendo uno dei tanti sentierini che, verso la nostra destra, lo attraversano in una fitta rete. Sono sentieri appena accennati, frequentati più da animali (selvatici e domestici) che da uomini. Si cammina tra fiori e cespugli e tra gli onnipresenti cardi.

Già, il cardo, quello dell'"asin bigio" di "Davanti a San Guido" di G. Carducci. Chi non lo ricorda? Forse anche per le "puncicature" provocate da questa spinosissima pianta. Ma ormai dovremmo saperlo: è il suo modo per difendersi dagli erbivori, che in questo pianoro hanno selezionato diversi generi di piante ugualmente spinose; troviamo infatti la scarlina (Galactites tomentosa), che fiorisce in giugno e ha le foglie dotate di una fitta peluria e striate di un bianco che ricorda il colore del latte (da cui il nome scientifico).

Poi la cardogna (Scolymus hispanicus) dai fiori gialli che durano tutto l'autunno, il Carduus pycnocephalus, Carduus nutans, Cirsium arvense, i cardi di S. Maria (Sylibum marianum), alti anche più di un uomo. Solo l'asino è capace di alimentarsi con questi veri e propri "ricci" vegetali. Una fatica che vale la pena: il Sylibum marianum infatti è molto nutriente e contiene svariati principi attivi anche medicinali (epatoprotettori). Lo sanno bene le chiocciole che a decine si attaccano al suo fusto per nutrirsene, coprendolo letteralmente come una strana scultura moderna. Lo sapevano anche gli antichi, che probabilmente dedicavano questa pianta a qualche divinità pagana; con l'avvento del Cristianesimo, come cambiarono i toponimi pagani in cristiani, i templi in chiese, i riti pagani in cerimonie dedicate a qualche santo, così probabilmente il cardo finì per essere dedicato alla Madonna. Non faticano a nutrirsi dei semi dei cardi anche i nuovi ospiti della Caffarella, i pappagalli (Myopsitta monachus), liberati da incoscienti proprietari che in questo modo hanno alterato ecosistemi stabili da millenni.

La pianta è dunque un ottimo alimento anche per l'uomo, da utilizzare come un carciofo, dopo aver accuratamente eliminato la corazza spinosa. Una corazza che difende anche la calcatreppola campestre (Eryngium campestre), tipica pianta mediterranea riconoscibile sia per le foglie spinose grigio-azzurre, sia per avere l'infiorescenza così contratta da sembrare un capolino di composita, quando in realtà appartiene alla famiglia delle umbrellifere.

Ad un'altra pianta le spine, anzi dei veri "uncini", servono per riprodursi. E' la bardana (Arctium lappa, Arctium minus) i cui fiori tutti uncinati vengono dispersi dagli animali al cui pelo si attaccano. Un aiuto che viene anche dall'uomo: chi non ha mai giocato da bambino al lancio di questi "proiettili" appiccicosi? Pare addirittura che la bardana abbia suggerito l'idea per l'invenzione delle cerniere "a strappo".

Subito colpisce il curioso paesaggio intorno a noi: il grande pascolo incredibilmente piatto (addirittura nel primo tratto fuori dal boschetto di robinie sembra un curatissimo pratino all'inglese) grazie alla sua conformazione geologica, viene interrotto da improvvisi sprofondamenti quasi tutti di forma circolare. Sembrerebbero delle doline carsiche, i caratteristici avvallamenti delle montagne calcaree formati dal lento "scioglimento" delle rocce. Ma qui le rocce, come ormai avrete capito, sono soltanto vulcaniche.

Questi sprofondamenti sono infatti dovuti al crollo del tetto delle gallerie di alcune cave di tufo o pozzolana. Il lento ma inesorabile lavoro dell'acqua piovana ha indebolito lo strato superiore facendolo così crollare.

Gli agenti atmosferici (acqua, vento ecc.) modellano in continuazione il paesaggio, anche sotto i nostri occhi. Niente però è distruzione in questo fenomeno. Nelle grandi fosse, ricche di ombra, umidità e terreno fertile (suolo vulcanico) vediamo infatti un intrico fittissimo di verde: rovo, edera, vitalba, sanguinella, prugnolo, caprifoglio etrusco (Lonicera etrusca), melo e pero selvatico coprono tutto il fondo delle fosse fino a spuntare in superficie.

caprifoglio
Caprifoglio etrusco

Non si tratta solo di cespugli. Ecco il lupino selvatico (Lupinus angustifolius), che viene periodicamente piantato per rifornire il terreno di azoto, il che avviene grazie ai batteri azotofissatori presenti nelle radici delle leguminose.

lupino selvatico
lupino

Corniolo sanguinello

(Cornus sanguinea)

sanguinella
Corniolo sanguinello

Come riconoscerla

famiglia: Cornaceae

altezza: arbusto di 2-5 metri; tronco: molto ramificato; corteccia: bruno-grigiastra mentre i ramoscelli sono rossastri; fiori: bianco-verdastri in corimbi terminali (maggio-giugno) con odore sgradevole che attira gli insetti impollinatori; foglie: semplici, acute (4-8 cm) con nervature quasi parallele e di colorazione autunnale rosso acceso (da qui il nome della pianta); frutti: drupe purpureo-nerastre di 5-6 mm (agosto-settembre).

Curiosità

E' presente in tutta l'Europa centromeridionale fino all'Asia minore; a Roma è diffuso nelle aree verdi dei settori settentrionale e occidentale, nella Caffarella e nella zona di ponte Mammolo. Ama il sole e vive molto a lungo grazie anche alla sua frugalità.

Il legno fino al secolo scorso veniva bruciato come carbonella o utilizzato per ingranaggi, ruote e pestelli (è molto duro ed elastico).

Dalle drupe, amare e non commestibili, si ricavava un olio per le lampade mentre oggi si utilizzano per estrarne il colore. Nel XVII secolo era considerata una pianta magica e si diceva che fosse utilizzata nei sabba degli stregoni per preparare bevande velenose.

Si trova in tutti i boschetti, nelle zone cespugliate e nelle "fosse" di sprofondamento.

Fra i lupini, una presenza inattesa: il lupino greco (Lupinus graecus), una specie che in Italia è presente solo in cinque località, cresce in Caffarella; qui nel 1826 un certo E. Rolli raccolse per la prima volta questi lupini per il proprio erbario, ritenendoli una specie nuova. La segnalazione in un articolo del 1989 di B. Anzalone e E. Lattanzi ha consentito il ritrovamento e la corretta determinazione della specie nel 1996 da parte di G. Buccomino e A. Pavesi.

lupino greco
lupino greco

Troviamo poi il fico (Ficus carica), la robinia, l'olmo e la berretta da prete (Evonymus europaeus). Ed è proprio questo piccolo alberello a dare colore, assieme al rosso acceso delle foglie autunnali della sanguinella, al verde degli sprofondamenti. I suoi numerosissimi e velenosi frutti, proprio a forma di vecchi cappelli (come quelli dei pretini di campagna) aprendosi mostrano i semi di un bel colore rosato acceso. Anche in questo caso si tratta del richiamo "mangiami, mangiami" rivolto agli uccelli. Ma si tratta di un trucco: mangiando il frutto gli uccelli ingoiano i semi che poi espellono con gli escrementi.

evonimo
I frutti della berretta da prete

Gli uccelli non mancano su tutto l'altopiano e in particolare nell'intrico delle fosse: il merlo, la capinera (Sylvia atricapilla), lo scricciolo (Troglodytes troglodytes), la sterpazzola (Sylvia communis), il luì piccolo (Phylloscopus collybita). E poi sui rami più esposti non è difficile ascoltare, mentre si esibiscono, la passera scopaiola (Prunella modularis) dal dorso ruggine e dal petto cenere, e lo strillozzo (Miliaria calandra) di colore marrone striato.

Velocissimi ci volano accanto, quasi indifferenti alla nostra presenza, rondini e rondoni. Tutti li conoscono o almeno pensano di conoscerli. Approfittiamo di questa passeggiata per vedere meglio le loro caratteristiche.

In primo luogo quelle che noi chiamiamo rondini non sono un'unica specie. Abbiamo infatti la rondine vera e propria (Hirundo rustica), il balestruccio (Delichon urbica) e il topino (Riparia riparia), quest'ultimo non presente a Roma. Come dicono i nomi (rustica = campagnola; urbica = cittadina; riparia = fluviale) i tre uccelli sono legati ad ambienti diversi.

Nel cielo della Caffarella sono presenti i primi due, volteggiando velocemente (sono impareggiabili volatori) alla caccia di insetti. La rondine preferisce le campagne dove nidifica sotto i tetti dei casali e all'interno delle stalle. Il balestruccio è invece la "rondine" che vediamo volteggiare tra i nostri palazzi dove costruisce il suo nido di fango e paglia a forma di semisfera; esso si posa anche più facilmente sul terreno vicino alle pozze dove preleva il fango per costruire il nido.

E' certamente più numeroso il balestruccio (vi arriva dal vicino quartiere Appio Latino) così come sta accadendo più in generale in tutta Italia. La rondine infatti, legata alla campagna, soffre dello scriteriato utilizzo dei prodotti chimici in agricoltura sia indirettamente (eliminazione di molti insetti di cui si ciba) che direttamente (sono segnalate vere e proprie stragi di rondini subito dopo l'irrorazione delle campagne con certi antiparassitari). Il balestruccio invece, più adattabile, si accontenta della città e così riesce a sopravvivere più facilmente.

Molto più legato alla città è il grande rondone (Apus apus) che lancia il suo stridulo richiamo ad altissima quota per poi lanciarsi in velocissime picchiate alla ricerca del cibo. E' un vero spettacolo e non c'è da stupirsi: grazie alla forma aerodinamica con ali strette e lunghe e coda corta e biforcuta, i rondoni sono vere macchine per volare, con velocità di 60-90 km/h e punte fino a 200 km/h. In volo si corteggiano, si accoppiano, catturano le prede e il materiale per il nido.

In volo addirittura possono dormire: quando è l'imbrunire si portano a grandissime altezze e da lì si lasciano andare in una lunghissima scivolata. E' questo il momento per chiudere gli occhi, per un piccolo riposo. Il tutto è favorito dal fatto che i muscoli delle ali sono inseriti al contrario, cioè quando l'ala è aperta i muscoli sono in riposo e viceversa.

E' stato possibile scoprire il sonno in volo grazie ai radar militari. Alcuni anni fa degli aerei individuarono sui loro schermi dei segnali inspiegabili: era notte e la quota era altissima. Cosa poteva essere? Erano rondoni che dormivano tranquillamente.

Questi uccelli così sorprendenti vivono in genere su pareti rocciose dove costruiscono i loro nidi fatti di piume, petali, foglioline, carta e steli d'erba impastati con la saliva che si rapprende a contatto con l'aria. Ed è questo l'unico momento in cui mettono "zampe a terra". Infatti ben difficilmente si posano sul terreno (il nome scientifico Apus significa "senza piede") anche perché riescono a riprendere il volo con grande fatica, proprio per la "strana" disposizione dei muscoli alari.

Ma perché li troviamo così spesso in città? Qui trovano nei palazzi e nei monumenti delle splendide pareti rocciose artificiali dove costruire i nidi e, anche loro, tanto cibo. Niente di meglio comunque della Caffarella: palazzi da una parte e "dispensa" naturale dall'altra. Ecco spiegato il bellissimo spettacolo delle evoluzioni dei rondoni nella valle, visibili per tutto il giorno ma in particolare nel tardo pomeriggio.

Le quattro specie descritte si differenziano notevolmente all'interno del regno animale; mentre rondine, topino e balestruccio sono dei passeracei (ordine Passeriformes), il rondone appartiene all'ordine Apodiformes, e pur non avendo nessuna parentela con i primi tre, presenta con essi una convergenza morfologica.

Anche se il loro aspetto sembra molto simile, possiamo ugualmente distinguerli con un po' di attenzione grazie alle dimensioni (la rondine e il rondone sono più grandi), alla forma della coda (quella della rondine è molto più forcuta) e soprattutto grazie al colore.

Il rondone è di colore nero uniforme; la rondine ha ali, dorso e groppone neri mentre le parti inferiori sono bianche e la gola rossa; infine il balestruccio ha neri sia le ali che il dorso, ma le parti inferiori e il groppone sono bianchi.

Un'ultima indicazione: il rondone, oltre che per le dimensioni e il colore, si distingue dalle rondini per le ali a forma di falce perfetta e per il fatto di vivere in gruppi più numerosi.


Adesso se vuoi puoi tornare all'introduzione.

Oppure puoi proseguire la visita con il IV capitolo.


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copyright COMITATO PER IL PARCO DELLA CAFFARELLA, 23 febbraio 2003