Itinerario naturalistico nella valle della Caffarella

Al caldo della roccia, al buio delle grotte

  1. Ginestra di Spagna

Dal nostro precedente punto di osservazione potremmo ora raggiungere comodamente il fondovalle attraverso il sentiero che, costeggiando il dirupo, scende alla nostra sinistra. Ma preferiamo invece prendere il sentiero che, lambendo alcune delle più interessanti "fosse" (fittissime di sanguinelle, olmi e berretta da prete) scende quasi in diagonale verso la nostra destra, in direzione della Vaccareccia. Dopo circa una cinquantina di metri, il dirupo ha un'interruzione che permette di scendere dolcemente verso il fondovalle.


Corniolo sanguinello

Perché siamo qui? In questo luogo, subito alla nostra destra (ma un po' lungo tutto il dirupo), abbarbicate sulle calde e assolate rocce tufacee, vivono delle incredibili e interessantissime piante adattate alle alte temperature e ad un suolo scarso; le radici abbondano nelle fessure delle rocce. Si tratta di arbusti alti fino a 2 metri, cespugli che si pongono come i precursori del bosco misto di roverella (Quercus pubescens) e leccio (Quercus ilex) .

Conosciamoli dunque: i primi due, molto simili, sono la fillirea (Phillyrea latifolia) e l'alaterno, o legno puzzo (Rhamnus alaternus). Entrambe piante amanti dei climi aridi e caldi, creano il colore sempreverde caratteristico della regione meditterranea, e che già vediamo diminuire nel fondo valle, dove in inverno la vegetazione perde le foglie; la prova determinante per distinguerle, in primavera, quando non hanno ancora i frutti, è nel profumo o, meglio, nell'odore sgradevole che l'alaterno emana dai suoi rami, soprattutto da quelli giovani: non per niente il suo nome popolare è "legno puzzo". Si tratta di una molecola assai volatile, l'antrachinone, avente tra l'altro un'azione purgativa e, come ormai avrete capito, è l'ennesimo trucco delle piante rustiche e pioniere per difendersi dagli animali erbivori e cercare così di sopravvivere.

Alla stessa famiglia dell'alaterno (le Rhamnaceae) appartiene la marruca (Paliurus spina-christi); le due piante hanno alcune differenze evidenti: l'alaterno è sempreverde, mentre la marruca in autunno diventa di un bel colore giallo acceso e poi perde le foglie che, trasportate dal vento, sembrano morbidi coriandoli; sempre l'alaterno possiede dei bei frutti carnosi (drupe) molto appetiti dagli uccelli, mentre la "cugina" ha degli stranissimi frutti legnosi e brunastri che assomigliano a buffi cappellini cinesi.

L'alaterno è presente in tutta la valle, soprattutto nelle "fosse" e nelle zone esposte al sole. La marruca è più diffusa, forse perché le spine di cui è coperta (il nome stesso lo ricorda: secondo la leggenda con esse sarebbe stata fatta la corona di spine di Cristo) la difendono dal bestiame e dall'uomo, permettendo di formare dei cespuglieti nei versanti esposti a Sud, lungo via della Caffarella e nelle scarpate stradali di via Appia Pignatelli.

L'altra pianta presente qui e nelle altre zone assolate è la solare ginestra (Spartium junceum). Poco appariscente per tutto l'anno (sembra un modestissimo e anonimo arbusto), tra maggio e agosto ci regala gli splendidi, vistosi e profumatissimi grappoli di fiori gialli. E' un po' il simbolo della calda estate mediterranea; le radici di questa pianta pioniera consolidano il terreno (al punto che in alcuni interventi intelligenti è stata utilizzata per recuperare frane, cave o altre zone degradate) e i suoi fiori offrono abbondante cibo a molti insetti tra cui le api che ne fanno un ottimo miele profumato.

Ginestra di Spagna

(Spartium junceum)

Come riconoscerla

famiglia: Leguminosaceae

altezza: cespuglio di 3-4 metri; tronco: ramificato fin dalla base con numerosissimi rami sottili e giunchiformi; corteccia: grigiastra con placche longitudinali; fiori: di colore giallo vivace, molto profumati, formano (maggio-agosto) grappoli allungati (fino 30 cm); foglie: opposte, molto piccole e lineari (la permanenza sulla pianta è molto breve per cui i rami restano spogli per gran parte dell'anno e compiono loro stessi la fotosintesi clorofilliana); frutti: legumi dapprima verdi e poi bruno scuro a maturità (6-8 cm).

Curiosità

Arbusto molto rustico cresce su terreni aridi e assolati e per questo viene utilizzato per consolidare frane e altri dissesti; a Roma ha un'ampia diffusione, ad eccezione delle zone più urbanizzate.

I fiori producono un nettare molto apprezzato dalle api (ne parla anche Aristotele) ma, come tutto il resto della pianta, sono velenosissimi in quanto contengono un potentissimo alcaloide, la citisina.

I rami sottili contengono un tessuto molto fibroso da cui si può estrarre una materia tessile (Romani, Cartaginesi e Greci ne facevano le vele per le loro navi), molto usata, anche industrialmente, nell'Europa Sud-occidentale (biancheria dapprima rossastra e poi con l'uso candida). Si usa anche per cesti, cordame e legacci per le viti.

Si trova prevalentemente nelle zone esposte a Sud, sulle rocce tufacee, all'uscita del boschetto di robinie, ma anche a fianco dei boschetti di via Appia Pignatelli.

Vicino alle ginestre una presenza inaspettata: una bellissima orchidea, l'Orchis papilionacea che come dice il nome ha una forma simile ad una farfalla (papillon in francese).

Orchis papilionacea
Orchis papilionacea (autore: Alberto Dominici)

Di un bel colore purpureo è una delle 9 specie di orchidee segnalate in Caffarella, non grandi come quelle tropicali, ma altrettanto belle e interessanti.

Serapias
Orchidea del genere Serapias

Tra l'altro cresce numerosa in aprile l'Ophrys sphegodes, una orchidea spontanea caratterizzata da un ampio lembo scuro con chiazze gialle, che ad un primo sguardo fa pensare al dorso di un insetto. E non è finita qui: le piante sono in genere ricoperte in superficie da una cera di vari idrocarburi che hanno come scopo principale quello di contrastare la perdita di acqua. L'evoluzione ha portato però il fiore di questa piccola orchidea ad alterare casualmente le proporzioni di questi idrocarburi fino a raggiungere un odore che simula quello delle femmine di una specifica specie impollinatrice, l'ape solitaria Andrena nigroaenea.

I maschi di questa ape, ingannati dall'aspetto e dall'odore del fiore, vengono attratti e sessualmente eccitati in quella che gli scienziati hanno chiamato "pseudocopulazione", e così trasferiscono il polline da un'orchidea all'altra. Il meccanismo è così selettivo che l'orchidea può limitare l'emissione di queste sostanze volatili, tant'è che il fiore sembra essere scarsamente profumato se confrontato con altri fiori: un meccanismo quindi tanto complesso quanto economico per garantire la propria sopravvivenza.

Ultimo importante inquilino verde di queste rocce (ci sono anche prugnoli, rose, meli e peri selvatici) è il fico. Sì, proprio lui, la contorta, rustica pianta, compagna di strada dell'uomo fin dal primo giorno (chi non ricorda la famosa "foglia di fico" di Adamo) e protagonista di tante storie e leggende. Anch'esso amante delle zone aride e soleggiate è abbondante in tutta la valle, grazie anche alla riproduzione per polloni che avviene persino dopo la morte della pianta "madre".

In questo ambiente così ostile (caldo, secco, esposto a Sud) è molto difficile pensare di trovare animali: l'alta temperatura, la scarsità di acqua e di vegetazione disturbano chiunque pensi di installarsi.

Eppure c'è chi cerca proprio luoghi di questo tipo. E' la scattante e agile lucertola muraiola (Podarcis muralis), la notissima compagna di giochi dei bambini (alcuni crudeli, purtroppo!). Rettile e come tale "a sangue freddo", cerca proprio il caldo di queste rocce e dei muri (il nome lo conferma), dove ricaricare le proprie energie come una "batteria solare".

Pur essendo un animale tipicamente estivo, nella nostra città, grazie al clima particolarmente favorevole, resta in attività quasi tutto l'anno. Infatti il letargo (meglio definito come periodo di latenza) che di regola dura da ottobre-novembre a febbraio-marzo, viene spesso interrotto. Dalla propria tana sotto i sassi o nelle fessure di muri o rocce, la lucertola esce, nelle tiepide giornate invernali romane, alla ricerca di cibo (in questo periodo anche bacche e drupe). E così di fatto resta in riposo non più di un mese.

In Caffarella è presente anche una seconda specie: la lucertola campestre (Podarcis sicula). Vive, come dice il nome, in zone più verdi e si distingue dalla prima per il ventre biancastro senza macchie o reticolature nere come ha invece la muraiola.

Legati invece ai muri e alle rocce, ma di comportamento notturno, sono altri due sauri: il geco comune (Tarantola mauritanica) e il simile emidattilo (Hemidactylus turcicus). Ritenuti velenosissimi (il nome ricorda quello del più famoso ragno) sono invece del tutto inoffensivi, anzi utilissimi divoratori di insetti. Purtroppo l'aspetto, ritenuto ripugnante, li ha sempre fatti perseguitare per paura o superstizione.

Geco
geco comune

Su queste scarpate formate dall'erosione l'ambiente è quello naturale com'era prima dell'intervento dell'uomo: il terreno era troppo scosceso per la vegetazione forestale, e per lo stesso motivo qui l'uomo non ha mai potuto disturbare. Nel versante in cui siamo ora, esposto al sole, incontriamo una vegetazione termofila, ricca di generi a diffusione mediterranea, spesso annuali (Medicago, Linum, Anthemis, Euphorbia). Dall'altro versante il clima è leggermente più fresco, e l'ambiente ospita la vegetazione arborea che vediamo.

Abbandoniamo ora le calde rocce per avvicinarci ad un ambiente decisamente diverso, anzi diametralmente opposto. Percorrendo verso sinistra il pendio che scende al viale, scopriamo infatti l'imbocco di numerose grotte: sono le antiche cave di tufo e pozzolana, aperte dai Romani e utilizzate fino al XIX secolo, e fino al 1999 sfruttate da fungaie abusive, inquinanti e pericolose per chi vi lavorava; oggi sono spesso occupate da senza fissa dimora o da altre attività più o meno lecite. Ma alcune, soprattutto in questa prima parte della valle, mantengono inalterata la loro bellezza e il loro interesse naturalistico.

Di loro si sa poco forse anche perché è abbastanza pericoloso addentrarsi a causa dei frequenti crolli (meglio visitare solo l'ingresso senza inoltrarsi). Certamente ospitano numerose colonie di pipistrelli visibili al tramonto in tutta la valle mentre volano a caccia di insetti: un'attività estremamente utile.

Tra questi ricordiamo il pipistrello comune (Myotis myotis) e il piccolissimo pipistrello nano (Pipistrellus pipistrellus) lungo appena 3-4 centimetri, la metà dei grandi pipistrelli come ad esempio il ferro di cavallo maggiore (Rhinolophus ferrum-equinum). Quest'ultimo inoltre vive più isolato, tranne nel periodo della riproduzione in cui le femmine formano numerose colonie, e caccia solo da tarda sera e per tutta la notte.

Forse non tutti sanno che anche i pipistrelli effettuano una sorta di migrazioni alla ricerca di luoghi adatti per il letargo invernale. E non si tratta di voli brevi: proprio un piccolo pipistrello nano, marcato con un anellino metallico in Ucraina, è stato ritrovato in Bulgaria dopo un volo di 1150 chilometri. Un vero record che difficilmente altri pipistrelli ripetono ma che conferma la loro inaspettata mobilità.

Purtroppo questi interessanti e importanti mammiferi sono in diminuzione sia a causa del grande uso di prodotti chimici in agricoltura che per l'eccessivo disturbo nelle loro zone di rifugio.

Sempre più persone visitano le grotte e certamente non tutti con il silenzio dovuto per non disturbare i pipistrelli. Ed inoltre i vecchi e giganteschi alberi che ospitano altri loro rifugi sono sempre più rari. Si comprende così la loro diminuzione dovuta anche al fatto che, diversamente dagli altri piccoli mammiferi, partoriscono un solo piccolo all'anno. Questo perché, vivendo anche venti anni, non hanno bisogno di una prole numerosa per mantenere la specie (topi, ratti e toporagni vivono in media uno o due anni).

Ma questo, ovviamente, porta gravi rischi quando l'uomo interviene, come dicevamo, alterando l'ambiente e, in particolare, gli ambienti di rifugio e letargo.

Tra gli abitanti di queste grotte non ci sono solo i pipistrelli. Proprio all'ingresso possiamo osservare le pareti tutte bucherellate da forellini di pochi millimetri. Sono i nidi delle api solitarie (Anthidium punctatum, Osmia bicolor, Osmia papaveris, Megachile centuncularis) "cugine" delle più famose api sociali presenti in Caffarella (Apis mellifera, Bombus terrestris).

Mentre queste ultime costituiscono delle vere e proprie comunità, le api solitarie, pur costruendo il nido una vicino all'altra, non interagiscono né collaborano tra di loro: sono appunto "solitarie". Ma non sono di certo meno interessanti. Basti soltanto ricordare che tappezzano i piccoli fori con peluria di piante villose, petali di papavero (da cui una prende il nome), foglie di rosa. E oltre ai buchi nel terreno e nel legno utilizzano anche gusci vuoti di chiocciole o costruiscono il nido in muratura. Questi insetti però non sono degli animali specializzati in ambienti cavernicoli. Potremmo definirli invece abitatori occasionali delle zone d'ingresso.

E' questo infatti il primo microambiente in cui suddividere le grotte; da questo primo con sufficiente illuminazione e sbalzi di temperatura e umidità (risente ancora delle stagioni), si passa ad un secondo ambiente in penombra e con temperatura e umidità meno variabili ed infine all'ambiente dove regna il buio più fitto e in cui l'umidità e la temperatura sono praticamente costanti: qui non esistono stagioni. C'è poi un ambiente costituito da pozze e piccoli corsi d'acqua sotterranei.

Di tutti questi ambienti quello veramente cavernicolo è il terzo dove la mancanza di luce impedisce alle piante di crescere. E' quindi comprensibile come gli insetti che qui vivono siano coprofagi (mangiatori di escrementi, soprattutto di pipistrelli), saprofiti (mangiatori di cadaveri di altri animali) e carnivori (ovviamente di altri insetti).

Sono i cosiddetti insetti troglobi che compiono l'intero loro ciclo biologico (la loro vita) all'interno delle caverne. Si differenziano dai troglofili che vivono in parte nelle grotte ma si riproducono all'esterno, e dai troglosseni che nelle caverne ci capitano solo occasionalmente.

I troglobi si sono profondamente adattati alle condizioni ambientali delle caverne; gli occhi sono ridotti o inutilizzati; le antenne e le setole sono sviluppatissime per percepire anche il più leggero spostamento d'aria; il colore è praticamente inesistente (è infatti inutile per l'organismo, in un ambiente buio, consumare energia per produrre un colore) e quindi sono quasi tutti molto chiari, quasi trasparenti; le ali infine sono atrofizzate in quanto non serve loro saper volare mentre invece sono allungatissimi gli arti. Tra questi "mostruosi" animali troviamo i Troglophilus e le Dolichopoda (Ortotteri simili alle cavallette), alcuni Coleotteri delle famiglie dei Carabidi o i minuscoli Collemboli e Dipluri che vivono di detriti in disfacimento.

Tra le specie troglossene troviamo invece le zanzare Culex e Limonia numerosissime all'imboccatura delle caverne (così come le api solitarie prima descritte) e alcune specie di farfalle notturne che si riparano nelle caverne per svernare.


Adesso se vuoi puoi tornare all'introduzione.

Oppure puoi proseguire la visita con il VI capitolo.


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copyright COMITATO PER IL PARCO DELLA CAFFARELLA, 25 agosto 2003