Scheda: la sistemazione ottocentesca della via Appia



Il ruolo della via Appia

Se oggi la via Appia ci appare come parco, lo dobbiamo essenzialmente all'intervento dei Papi tra la fine del '700 e tutta la prima metà dell' '800. Il traffico fu dirottato sulla via Appia Nuova che già esisteva nel '500. Le tombe sono state scavate, ripulite e i blocchi risistemati. Ci fu un grande impegno per espropriare la strada con i marciapiedi, per scavare i monumenti, restaurarli e renderli godibili al pubblico destinando la via a luogo di diletto, di passeggiate e di studio come facciamo anche noi ai nostri giorni.

Cominciò papa Pio VII alla fine del '700 e concluse l'opera Pio IX nel 1852, e in questi lavori dell'Appia hanno lavorato i maggiori archeologi, studiosi, ingegneri, artisti dell'epoca; per esempio le tombe all'altezza del IV miglio furono ricostruite da Antonio Canova mentre il tratto che dal IV miglio arriva fino a Frattocchie fu curato da Luigi Canina, Commissario alle Antichità di Roma, nel 1852. Poi si fece una carta del restauro che è ancora quella oggi valida.

Nel 1852 Pio IX potè inaugurare la via Appia restaurata, ripulita dalle macerie che la ingombravano, dai crolli di secoli e secoli; da una parte e dall'altra furono costruiti questi muretti che accompagnano la strada fino alle Frattocchie difendendo l'area demaniale dai terreni privati. Questa fu una grande conquista, per un'epoca in cui le sculture finivano normalmente sul mercato antiquario, si vendevano per i musei (i nostri Vaticani, i nostri musei romani ma soprattutto per il mercato estero), i blocchi di marmo venivano ancora usati per farci calcina o venduti per essere riutilizzati, ecco invece si arrivò a questa maturazione scientifica: le sculture, le statue, le iscrizioni, i rilievi che erano stati trovati lungo la via Appia dovevano rimanere sul posto, proprio per dare la testimonianza della storia del luogo, non si poteva parlare di via Appia se la si depredava, anche a fini scientifici culturali, di quello che era il suo patrimonio storico.

In questi monumenti la ricostruzione fu condotta con criteri innovativi per l'epoca, riassemblando per quanto possibile parti architettoniche, iscrizioni, statue, stele funerarie ridotte in pezzi. La tecnica delle facciate architettoniche la dobbiamo pensare come legata ad un gusto del bello, ad una estetica tipica della fine del neoclassicismo, secondo la quale si suggeriva la forma del monumento romano senza però raggiungere una ricostruzione scientifica dell'aspetto originario. Comunque il risultato finale è abbastanza suggestivo, e dà alla strada un aspetto di gusto romantico

Per avere un esempio molto noto, sempre in quest'epoca il Valadier ricostruì in mattoni le arcate del Colosseo, la fronte che guarda via dei Fori Imperiali che era crollata; si interveniva completando in parte l'opera per farla meglio capire, però con materiali diversi in modo che chi la vedeva capiva bene qual era il restauro e qual era invece originale. Anche l'arco di Tito di fronte al Colosseo fu ricostruito dal Valadier, distinguendo la parte originaria di marmo dalle integrazioni di travertino.

Nonostante l'ingenuità e l'arbitrarietà di certe ricostruzioni si trattò comunque di una grande conquista culturale che noi ancora oggi, spesso non facciamo: negli scavi che si fanno in giro, in genere si piglia la statua, il vaso, l'iscrizione, lo si porta in magazzino e sul posto non rimane nessuna testimonianza.

I nostri quartieri periferici di Roma potrebbero essere non meno ricchi, non meno monumentali del centro storico, soltanto che è mancato (e manca tuttora) questo concetto; si scava e il materiale viene disperso o sparisce nei magazzini dei musei, e sul posto in genere non rimane nulla; quindi si depaupera quella che è la città al di fuori del centro storico che rimane anonima, apparentemente senza storia.

Questo concetto invece fu acquisito dai Papi 150 anni fa e costituisce anche oggi il fondamento della nostra cultura nel campo del restauro.

Dopo il 1870 il nuovo Stato Italiano sentì come suo dovere quello di riaffermare l'importanza della via Appia Antica e del Parco dell'Appia Antica. Tra la fine dell'800 e l'inizio del '900 fu sistemata la zona della passeggiata archeologica, quella è la parte urbana della via Appia Antica. Poi, durante il fascismo, il Munoz che era un architetto archeologo, piantò questi alberi che voi vedete sul percorso, perché ormai quelli papali ormai erano morti, era passato un secolo, i cipressi e i pini che vedete, in linea di massima, sono stati piantati negli anni '30.

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copyright COMITATO PER IL PARCO DELLA CAFFARELLA, 3 maggio 1999