Scheda: la feudalizzazione della Campagna Romana


La Campagna Romana, devastata dalla guerra gotica, fu progressivamente abbandonata, e le varie proprietà vennero mano a mano incorporate nel patrimonio ecclesiastico.

L'acquisizione dei beni da parte della Chiesa avvenne sia mediante donazioni, sia mediante acquisto di terreni che i contadini, di fronte all'insicurezza del suburbio e a difficoltà di carattere fiscale, preferivano cedere.

Quest'ultimo fenomeno produrrà quella particolare forma di affitto conosciuta come "enfiteusi", in base al quale il piccolo proprietario, esentato dal pagamento delle tasse, poteva lavorare e custodire i terreni (anche con la facoltà di presidiarli con piccole fortificazioni), versando una determinata quota al monastero che era legale proprietario.

Nell'VIII secolo le varie proprietà si organizzarono nelle cosiddette "domuscultae", che altro non erano che circoscrizioni più o meno estese, composte di piccoli nuclei agricoli distanziati fra loro, con una Chiesa e un casale come centro amministrativo e produttivo.

L'autonomia delle domuscultae si spinse fino alla creazione di piccole guarnigioni armate e al battere moneta.

La decadenza delle domuscultae lasciò la campagna sparsa di torrette sia semaforiche (per segnalare gli sbarchi di pirati saraceni) sia giurisdizionali (che segnavano i confini di una diocesi o di una abbazia).

La presenza nella campagna di queste piccole fortificazioni provocò, nel X-XI secolo, lo sviluppo del feudalesimo suburbano, con gli enfiteuti che si ribellavano ai monasteri per diventare i signori assoluti del territorio amministrato.

La necessità che i baroni avevano di controllare la campagna e le vie di comunicazione ebbero come conseguenza la fortificazione della campagna romana; le torri giurisdizionali si trasformarono mano a mano in piccoli castelli, mentre le torri semaforiche si inserirono nel sistema difensivo dei baroni come torri di vedetta.


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copyright COMITATO PER IL PARCO DELLA CAFFARELLA, 13 maggio 1999