Da Vedere: SANT’URBANO

2018-07-20T10:43:29+02:0011 Aprile 2018|

 

Da vedere: SANT’URBANO


Si tratta in realtà di un tempio romano, costruito intorno al 160 d.C., perfettamente conservato fin nelle tegole del tetto.
L’eccezionale stato di conservazione si deve alla trasformazione dell’edificio pagano in luogo di culto cristiano; ciò ha assicurato nel corso dei secoli alcuni sporadici interventi di manutenzione (il restauro più importante fu effettuato nel 1634 dal cardinale Francesco Barberini).

Tuttavia la sfavorevole posizione, fuori dalle Mura Aureliane, ha fatto sì che la chiesa fosse più volte profanata.

Gli studi più recenti riconoscono in questo edificio il tempio di Cerere e Faustina, che sorgeva all’interno del Triopio di Erode Attico; in origine esso era sollevato su un podio con sette gradini, al centro di un grande terrazzamento rettangolare (che oggi si individua a fatica) che costituiva, sopra la collinetta boscosa, una platea cinta di portici: il paesaggio non era dunque agreste come oggi, ma ricco di costruzioni.

In laterizio è non solo il corpo dell’edificio (cioè il muro perimetrale, il timpano e la costruzione interna), ma anche la decorazione della parte alta della facciata (mensole, cornici, dentelli e ovoli), secondo l’uso tipico della metà del II sec. d.C., quando questo materiale economico era utilizzato con una raffinatezza quasi virtuosistica.

Il tempio ha quattro colonne sul davanti (tempio “tetrastilo”); le colonne, i capitelli corinzi e l’architrave sono in marmo pentelico, un marmo bianco che proveniva dalla Grecia, e le cui miniere appartenevano allo stesso Erode Attico.

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A sinistra una delle quattro colonne in marmo pentelico e a destra il capitello
(foto D. Massari)

Il muro fra le colonne è dovuto al restauro del 1634 quando nella facciata si era aperta una crepa, visibile ancor oggi, che minacciava di far crollare il tempio; dobbiamo quindi ricostruire con l’immaginazione lo spazio libero fra le colonne, e il sottoportico aperto.
Superati pochi gradini si entra in un piccolo atrio (pronao), utilizzato fino a pochi anni fa come abitazione del guardiano; qui vi era collocata su un piedistallo una statua femminile (forse la dea Cerere), che però è stata rubata all’inizio degli anni ’80.

S. Urbano-stemma-Barberini

Lo stemma Barberini con tre api (foto D. Massari)

Attraversato il sottoportico (in alto si riconosce lo stemma dei Barberini con le tre api) si entra in una grande stanza (la cella del tempio) che, contrariamente alle camere dei sepolcri a tempietto, è molto luminosa.

La cella è il locale più interno del tempio romano; al posto dell’altare cristiano dovevano esserci quindi le immagini delle due dee alle quali il tempio era dedicato, e forse anche una statua di Annia Regilla.

Questo luogo sacro era riservato al sacerdote, che si faceva interprete fra la divinità ed i fedeli; questi ultimi rimanevano fuori, davanti alla gradinata del tempio, dove c’era l’altare su cui venivano offerti i doni, animali o frutti della terra.

Oggi la gradinata e i resti dell’altare non sono più visibili perché interrati.
La struttura architettonica interna appare ben conservata: le pareti sono divise in tre fasce orizzontali, di cui quella mediana presenta una serie di riquadri separati da pilastrini con capitelli corinzi in peperino; la fascia inferiore è liscia.

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Interno di Sant’Urbano (foto D. Massari)

All’interno è ancora conservato un piccolo altare rotondo di marmo, rinvenuto nel giardino adiacente nel 1616, nel quale si legge un’iscrizione in greco dedicata a Dioniso (il dio Bacco); ciò fece supporre che il tempio fosse a lui dedicato.

L’edificio, trasformato in luogo di culto cristiano forse già nel VI sec. d.C., fu dedicato al vescovo Sant’Urbano, il cui corpo era sepolto al quarto miglio della via Appia Antica, dove ancora oggi c’è un grosso rudere.

Il tetto, costruito con la tecnica della volta a botte, era decorato da una serie di stucchi ottagonali e quadrati; questi stucchi, contemporanei a quelli delle tombe dei Valeri e dei Pancrazi, situate presso il Parco Archeologico della via Latina, sono disposti in modo così preciso da far pensare ad un ruolo non solo decorativo (con scenette e motivi floreali scolpiti a mano) ma anche architettonico, mirante ad imitare lo schema rigido dei cassettoni in muratura.

S Urbano-Particolare della volta a botte con stucchi

Particolare della volta a botte con stucchi ottagonali al di sotto dei quali è presente il fregio (foto Domenico Massari)

Alla base della volta, sopra le pareti, si vede inoltre un fregio in stucco con armi, corazze e scudi, che non si riferisce a nessun episodio particolare, ma indica piuttosto l’attaccamento di Erode (e ancor più di Annia Regilla) alle tradizioni e agli ideali italici; molta parte è però sparita e sarebbe necessario un nuovo restauro.

Di tutti gli stucchi ottagonali è rimasto miracolosamente integro proprio quello centrale, che raffigura due persone in rilievo, una delle quali interamente conservata: è una donna nobilmente vestita di un ampio himation (una sorta di mantello drappeggiato che, partendo da una spalla, girava dietro la schiena per ritornare sul davanti) e da un chitone, cioè una tunica di stoffa leggera a cintura alta: La donna è raffigurata nell’atto di compiere un sacrificio; si tratta forse dell’apoteosi di Annia Regilla, che dopo la morte ascende al cielo diventando una divinità.

Particolare degli affreschi dell’interno

Particolare degli affreschi dell’interno (foto D. Massari)

Gli affreschi che ornano gli antichi riquadri risalgono all’ XI secolo, ma furono rimaneggiati nel ‘600; sul pavimento vi è la lapide sepolcrale di Sebastiano Biliardi, con lo stemma e la data della morte (1657). Alcuni di questi affreschi stanno progressivamente sbiadendo ed in qualche punto la pittura si sta addirittura sgretolando.

Essi sono stati lungamente studiati ed analizzati, soprattutto per verificare l’anno della loro prima “stesura”; infatti la firma (frater Bonizzo) e la data (1011) che compaiono sotto la scena della Crocifissione sono state messe in discussione dagli studiosi d’arte alcuni dei quali ritengono che frater Bonizzo fosse solo il committente. Una particolarità è costituita dall’affresco, dove è raffigurato il Cristo, crocifisso con quattro chiodi.

S urbano Particolare degli affreschi dell’interno

Il Cristo crocifisso con quattro chiodi di cui due ai piedi (foto D. Massari)

Le 34 scene distribuite lungo le pareti rappresentano episodi tratti dal Vangelo, dal martirio di san Lorenzo e di altri santi non ancora ben identificati.

Nell’adorazione dei Magi riconosciamo nell’asterisco in alto la stella che ha guidato i tre personaggi alla grotta della Natività. Nella scena del martirio di san Lorenzo, l’erba che si vede in basso sono in realtà le fiamme della graticola sulla quale fu torturato il santo sotto Valeriano (258 d.C.); secondo la leggenda che risale al IV secolo, san Lorenzo, alla richiesta del centurione di abiurare la fede, rispose: “sono cotto, ora girami e mangia”.

Particolarmente importanti sono le “vite” di santa Cecilia e sant’Urbano: santa Cecilia era una ricca e nobile cittadina romana, la quale, in segno di conversione al cristianesimo, volle donare un suo terreno sulla via Appia Antica alla Chiesa; il terreno fu così utilizzato dal papa S. Callisto per la costruzione delle catacombe.

L’affresco raffigurante santa Cecilia (foto D. Massari)

L’affresco raffigurante santa Cecilia (foto D. Massari)

Attraverso una piccola scala si scende nella cripta; le sue dimensioni ridotte e la posizione sotto l’altare provano che essa fu costruita per essere una “Confessione”, cioè il luogo sotto l’altare in cui si conservano le reliquie del Santo (un buco indica il posto in cui esse erano custodite). Le pareti, che mostrano ancora i segni delle picconate, sono abbellite con pitture che imitano delle lastre di marmo.

Nella cripta una rozza pittura raffigura la Madonna con Bambino fra S. Giovanni e S. Urbano; la rappresentazione frontale dei personaggi e l’atteggiamento composto e solenne sono tipici dell’iconografia bizantina, ma l’astrattezza e l’inespressività dei volti, assieme alla severità del Bambino, sono tipici del periodo precedente l’anno 1000.

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Affresco della cripta con la Vergine che presenta il Bambino a S. Giovanni e S. Urbano (foto D. Massari)

Visitabile | 4


previa richiesta alla Sovrintendenza Comunale


 SCHEDA:
La chiesa rappresenta una delle migliori opere di epoca romana conservatesi lungo i secoli grazie alla sua trasformazione in luogo di culto cristiano; nondimeno il fatto di essere collocata fuori dalle mura Aureliane, ha permesso più volte la sua profanazione e la spoliazione di opere importanti.


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Visita anche:

– Tempio del Dio Redicolo
– Colombario Costantiniano
– Sant’Urbano
– La Vaccareccia

Sant’Urbano

2009-09-18T14:34:47+02:0018 Settembre 2009|Categorie: Da vedere|

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Il tempio fu costruito nella seconda metà del II secolo d.C. da Erode Attico per la Cerere, dea dell’agricoltura, e per Faustina, moglie dell’imperatore Antonino Pio e cugina della moglie di Erode Attico, Annia Regilla. In realtà anche a lei doveva essere dedicato questo tempio. Infatti dalle fonti si sa che all’interno della cella erano collocate le statue di Cerere e delle due donne. L’edificio è in laterizi bicromi, che è poi la stessa tecnica utilizzata per il tempio del dio Redicolo e di molti monumenti dell’epoca. Per le quattro colonne antistanti la cella fu utilizzato il marmo pentelico, estratto da una delle cave di Erode Attico in Grecia. Oggi le colonne, cha sono sormontate da capitelli corinzi, sono inglobate all’interno di un muro costruito nel 1634 da papa Urbano VIII per evitare che l’edificio crollasse. Le pareti interne della cella sono divise in tre fasce orizzontali e la volta a botte è decorata con stucchi quadrati ed ottogonali con scenette e motivi floreali, mentre lungo la base di essa corre un fregio continuo con scudi, armi e corazze , che indicano l’attaccamento alle tradizioni militari di Erode Attico e della moglie che apparteneva ad una delle famiglie più antiche di Roma. Nel VI secolo d.C. il tempio fu trasformato in chiesa e gli fu dato il nome di Urbano dal vescovo il cui corpo è sepolto al IV miglio della Via Appia Antica. Nell’XI secolo furono dipinti i 34 affreschi che riempiono le fasce delle pareti della cella e che raffigurano scene della vita di S. Cecilia e di S. Urbano ed altri episodi del Vangelo. Sotto l’altare si trova la “confessione” cioè il luogo in cui si conservano le reliquie del santo. Qui, all’interno di una nicchia, c’è un affresco che raffigura la Madonna con il Bambino tra S. Giovanni e S. Urbano.

 

 

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