Informazioni sul Parco della Caffarella

  1. Introduzione
  2. L'evoluzione geologica della valle
  3. Natura
  4. Tradizioni e leggende
  5. Storia
  6. Il Triopio di Erode Attico
  7. Medioevo e Rinascimento
  8. Dal '700 ai nostri giorni
  9. Bibliografia

Introduzione

La valle della Caffarella, cioè l'area che, compresa tra la via Latina e la via Appia Antica, si estende dalle Mura Aureliane fino a via dell'Almone, è ancor oggi un'oasi dove sono concentrati straordinari valori paesistici, archeologici ed ecologici; i verdi prati, i monumenti, i casali, i boschetti e gli stagni sono distribuiti in un complesso unitario, inestimabile non solo per i cittadini che vi abitano a ridosso, ma per l'intera comunità nazionale e per gli studiosi di tutto il mondo.

Di questo complesso cercheremo di mettere in evidenza le caratteristiche più importanti, perché tutti possano comprendere ed amare gli "abitanti" della valle e tutto l'ambiente nel suo insieme.

L'evoluzione geologica della valle

La Caffarella è una caratteristica valle fluviale a V con un fiume al centro, la cui storia comincia, geologicamente parlando, tra 360 mila e 80 mila anni fa. A quel tempo vari strati di materiale vulcanico, espulso dal Vulcano Laziale (gli odierni Colli Albani), si andarono ad accumulare sopra più antichi sedimenti fluviali e marini, cosicché oggi il suolo della Caffarella risulta costituito da quattro strati di tufi e pozzolane, in parte visibili nelle numerose cave o lungo le pareti scavate dai corsi d'acqua che percorrono la valle.


Le cave di pozzolana
(per gentile concessione di Marco Placidi, c/o Roma sotterranea

Il corso d'acqua più importante è il fiume Almone, che, dalle pendici dei Colli Albani, dopo aver percorso la zona SUD-EST della Campagna Romana, attraversa la Caffarella, s'interra nei pressi della via Appia Antica e si inserisce nel collettore diretto al depuratore di Roma Sud (mentre prima si gettava nel Tevere all'altezza del Gazometro).

I due versanti della valle sono distanti tra loro tra i 300 e i 500 m, il che fa presumere una modificazione nel tempo dell'assetto morfologico. Si ritiene infatti che tra gli 80.000 e i 10.000 anni fa, durante la glaciazione di Würm, l'Almone abbia eroso il materiale vulcanico scavandosi un alveo profondo quasi 100 metri; in seguito il fiume iniziò a deporre sedimenti, colmando l'alveo da lui stesso scavato; infine gli ampi meandri del fiume erosero i versanti, allontanandoli sempre più fino alla distanza attuale.

L'Almone riceve oggi i contributi idrici di decine di sorgenti, di cui una quindicina sgorgano all'aperto proprio nella nostra valle alimentate dalla falda sotterranea; la ricchezza d'acqua della zona è dovuta alla differente permeabilità posseduta dai terreni vulcanici che conferisce alle sorgenti anche caratteristiche "medio-minerali": l'esempio più noto è senz'altro quello della fonte dell'Acqua Santa, con contenuti di anidride carbonica che la rendono frizzante e di sapore acidulo.

Natura

La fertilità del terreno, la ricchezza d'acqua ed il clima favorevole hanno permesso la crescita di una vegetazione varia e rigogliosa come ricordano testimonianze che vanno dagli antichi Romani fino al secolo scorso: fitti boschi intervallati da ampie radure, corsi d'acqua affiancati da una intricata vegetazione ripariale, zone umide coperte dalla tipica flora palustre.

Oggi di tutto questo non resta molto. L'uomo ha modificato il paesaggio per le sue esigenze produttive, sostituendo i regolari campi coltivati all'apparente disordine della natura. Ma non tutto è scomparso: restano ancora alcuni angoli quasi intatti, ricordo di tempi lontani, ma anche alcuni ambienti che si sono costituiti dopo, proprio in conseguenza dell'intervento dell'uomo.

Nel versante sinistro sono presenti tre boschetti di aceri, lecci, farnie e roverelle ricchi di alberi secolari, sul versante destro due boschetti di robinie, mentre nel fondovalle, oltre a un pioppeto, troviamo allineati lunghi filari di bagolari, gelsi e noci, segno dell'intervento umano.


Robinia

Sui due altopiani che dominano la valle dell'Almone, le voragini formatesi dallo sprofondamento di alcune cave utilizzate fino a cento anni fa per l'estrazione di pozzolana, si sono riempite di una tipica vegetazione: olmi, fichi, evonimi, sanguinelli ecc. Dentro uno stagno nei pressi di via dell'Almone, tra canne, salici, giunchi ed equiseti volano i beccaccini e le ballerine, saltano rane e rospi, strisciano biscie e salamandre. Nei boschetti più isolati, nell'intricato sottobosco di pungitopo, corniolo, prugnolo, melo e pero selvatico, rosa selvatica e sambuco, risuona il canto di passeri, verdoni, verzellini, cinciallegre, capinere, merli, pettirossi, cardellini, strillozzi o l'improvviso chiocciare del fagiano.


Pungitopo

In alto nel cielo si possono osservare il beccamoschino, l'allodola ed il gheppio; il gheppio non è l'unico dei predatori della vallata; infatti anche la volpe abita a pochi passi da casa nostra. Sarà difficile vederla, ma potremo accorgerci della sua presenza dagli escrementi lasciati sui sentieri per marcare il suo territorio. Essa, assieme al gheppio e ai rapaci notturni che, come la civetta ed il barbagianni, abitano i mille ruderi, ci rende il prezioso servizio di eliminare i topi ed i ratti attirati dalle montagne di rifiuti abbandonati nelle parti più accessibili della valle.


Gheppio

Tradizioni e leggende

La valle della Caffarella è oggi un tipico esempio di "Campagna Romana" dove storia e natura convivono purtroppo con degrado e incuria; ben diverso è stato l'aspetto ed il rispetto della valle nelle varie epoche storiche. Basti pensare alle tradizioni e leggende legate agli antichi Romani, il cui culto per tutte le manifestazioni naturali aveva deificato boschi, fiumi e sorgenti. Così il fiume Almone, che attraversa la valle, veniva identificato con uno spirito divino, il dio Almone, che dava l'acqua o la siccità a suo piacimento.

Questo dio aveva un culto importante perché era alle porte di Roma ed il suo rito si svolgeva ogni anno proprio dove le sue acque sfociavano nel Tevere: dal Palatino, dove c'era il tempio della Magna Mater (la dea Cibele), si portava il simulacro della dea con una solenne processione fino alla via Ostiense e lì si lavavano l'immagine e gli arnesi del culto nelle acque dell'Almone. Era un culto di origine orientale che si svolgeva ogni 27 marzo e l'importante cerimonia è durata fino alla fine del mondo antico.

Sempre lungo le sponde dell'Almone, ma stavolta proprio nel fondovalle della Caffarella, alle "idi di luglio" di ogni anno i cavalieri romani svolgevano le loro celebri cavalcate in onore di Marte Gradivo, in ricordo della battaglia del lago Regillo avvenuta nel 493 a.C..

Altri luoghi di venerazione per gli antichi erano i boschi, e infatti le vie consolari erano fiancheggiate, soprattutto nelle vicinanze dell'Urbe, da fitti "boschi sacri". In Caffarella, su un poggetto di fronte alla chiesa di S. Urbano, sono rimasti tre lecci a testimoniare la presenza di un vasto bosco sacro dove, secondo la leggenda, Egeria, una divinità arcaica minore connessa con le acque sorgive e con il parto, si incontrava con il re Numa Pompilio e dilettandosi in giochi amorosi gli consigliava e dettava le leggi (in realtà il bosco sacro dedicato ad Egeria era nei pressi delle Terme di Caracalla). I boschi sacri più belli ed imponenti, i "Luci", erano addirittura protetti da leggi che imponevano la pena capitale a chi osava deturparli.


Il Bosco Sacro e la tomba di Cecilia Metella

Altre leggende sono legate ai luoghi della Caffarella, come quella del terribile dio Redicolo (il dio del ritorno), il quale, oltre a proteggere i viaggiatori che a lui si votavano, apparve una volta in maniera terrificante ad Annibale ed al suo esercito che dopo la vittoria di Canne marciava verso Roma, spaventandolo e facendolo tornare indietro.

Accanto a questi ed altri aneddoti la Caffarella ha una ricca e documentata storia. Infatti la valle, che si estende per circa 200 ettari fuori porta S. Sebastiano, ha avuto una grande rilevanza sia dal punto di vista storico artistico che da quello della storia del costume dei Romani antichi e moderni per la sua disposizione tra due delle più importanti vie dell'antichità: la via Appia Antica da un lato e la via Latina dall'altro.

Storia

La via Latina è di origine molto più antica dell'Appia: è una strada naturale, percorsa già nella preistoria, che partiva come molte altre strade nei pressi dell'isola Tiberina e, dopo circa 191 km, raggiungeva Capua. Durante il III sec. a.C., grazie ad un imponente sforzo ingegneristico, la strada fu rettificata; basti pensare che il tratto da Roma a Grottaferrata era un unico rettifilo di ben 15 km.

Oggi, a parte la fortunata eccezione del Parco archeologico della via Latina, poco si conserva di questa importante via dell'antichità.


Il sepolcro dei Valeri nel Parco delle Tombe Latine

Per quel che riguarda la Caffarella è opportuno ricordare parte del basolato con resti di sepolcri rinvenuti recentemente tra via di Vigna Fabbri e via Cordara, proprio dove la strada iniziava a superare con un viadotto il fosso cosiddetto dei Cessati Spiriti (che oggi è largo Tacchi Venturi); un altro bel complesso sepolcrale, con mosaici e nicchie, rinvenuto nel 1981 a largo Nicomede Bianchi, è stato invece reinterrato per asfaltare la moderna via Latina.


Via Latina tra via di Vigna Fabbri e via Cordara

La via Appia, fatta costruire dal censore Appio Claudio Cieco nel 312 a.C., richiese uno sforzo di ingegneria stradale addirittura superiore a quello richiesto dalla via Latina; l'Appia, infatti, trascurava le vie naturali per puntare diritto verso Capua, e così anticipava il concetto delle attuali autostrade.

All'inizio del Medioevo numerose torri sorsero sia sulla via Latina che sulla via Appia, per imporre gabelle a chi transitava per quelle strade. Così, per evitare il dazio, si creò attraverso la campagna romana una viabilità secondaria che, in seguito, prese il sopravvento. Il tracciato artificale dell'Appia fu perciò sempre meno soggetto a quella continua manutenzione che ne consentiva la viabilità e pertanto venne abbandonato a vantaggio della via Latina, che ugualmente raggiungeva Capua, o di nuove vie come la Tuscolana, la Casilina, l'Appia Nuova.

La valle della Caffarella quindi, sia per la sua posizione alle porte di Roma, sia per la naturale fertilità del terreno, ha rappresentato per secoli luogo di coltivazione di frutta e ortaggi.

Roma antica infatti, se poteva importare il grano, doveva invece per forza coltivare nei suoi paraggi i prodotti di rapido deterioramento; logico quindi che nella valle della Caffarella si moltiplicassero le cisterne (se ne contano almeno sei) e si estendessero fondi famosi, quali quello di Erode Attico.


La grande cisterna di fronte a S. Urbano
(per gentile concessione di Marco Placidi, c/o Roma sotterranea)

Il Triopio di Erode Attico

Erode Attico era un ricchissimo e famosissimo personaggio della Roma imperiale; vissuto nel II sec. d.C., fu retore e precettore degli imperatori Lucio Vero e Marco Aurelio. Sposando Annia Regilla, dell'illustre famiglia degli Annii e discendente di Attilio Regolo, ebbe come dote questo fondo, che aveva il suo centro di attività nella villa su cui in seguito fu costruito il palazzo di Massenzio, al di là dell'Appia Pignatelli.

Erode Attico, morta la moglie, fu accusato di averla assassinata, e quando poi uscì assolto dal processo si dette ad esagerate manifestazioni di lutto.

In onore di Annia Regilla ristrutturò tutto il fondo, a cui diede il nome di Triopio in ricordo di Triopas, re di Tessaglia, che aveva dedicato a Demetra, dea delle messi, un santuario nella città di Cnido in Asia minore. E infatti Erode dedicò un tempio a Cerere, la dea romana corrispondente alla Demetra dei Greci, e a Faustina, imperatrice da poco morta e quindi divinizzata.


Il tempio di Cerere e Faustina (oggi chiesa di S. Urbano): gli stucchi

Egli volle in questo modo porre la sua proprietà al di sopra dei comuni interessi umani; nello stesso tempo il ricordo del re Triopas doveva servire a tenere lontani dal fondo di Erode i malintenzionati che si fossero avvicinati per rubare e per recare danno alla sua proprietà. Triopas infatti, secondo la leggenda, aveva osato tagliare la legna del bosco sacro a Demetra, e per questo era stato da lei punito con una fame insaziabile che lo aveva portato alla morte.

Il Triopio era un fondo ricchissimo, che si estendeva fino al mausoleo di Cecilia Metella (sull'Appia Antica), dove aveva il centro agricolo e dove viveva la popolazione rurale.


Il mausoleo di Cecilia Metella
(per gentile concessione di Marco Placidi, c/o Roma sotterranea)

In quei paraggi sono state trovate molte epigrafi, che, insieme con le descrizioni di alcuni scrittori antichi, ci forniscono notizie interessanti: c'erano campi di grano, olivi, vigne, prati, la stazione di polizia, il luogo sacro a Nemesi e Minerva, il parco, il villaggio colonico e la villa residenziale; era quindi una signorile villa suburbana e nello stesso tempo una ricca e operosa azienda agricola.

Oggi sono ancora molti i resti storici che in Caffarella testimoniano la presenza di una così ricca tenuta. Tra tutti ricordiamo il già citato tempio di Cerere e Faustina, pressoché intatto, anche perché fu trasformato in luogo di culto cristiano forse già nella tarda antichità assicurandogli quella manutenzione che lo ha conservato integro nei secoli; fu infatti dedicato a S. Urbano, un vescovo martirizzato al tempo di Marco Aurelio; diversi affreschi ornano l'interno, e in particolare, nella piccola cripta, si può ammirare una Madonna con Bambino e Santi del X secolo.


La cripta di S. Urbano

Ai piedi della collina dove si erge la chiesa di S. Urbano c'è il cosiddetto ninfeo di Egeria, una grotta artificiale in prossimità di una sorgente di acqua minerale acidula. Questa grotta era preceduta da un portico che si specchiava in un bacino nel quale si raccoglieva l'acqua della sorgente. Da qui l'acqua passava in un vasto laghetto dove confluivano anche le acque dell'Almone formando probabilmente il Lacus Salutaris ricordato dalle cronache del tempo, "salutare" proprio per le qualità terapeutiche delle sue acque. Anche questo ninfeo faceva parte del Triopio di Erode Attico e, con le sue sontuose fontane, costituiva un piacevole luogo di riposo estivo.


Il ninfeo di Egeria

Poco distante, nel verde fondovalle, tra il fiume Almone e l'odierna via della Caffarella, si trova la cosiddetta tomba di Annia Regilla, uno dei più bei monumenti ancora intatti che esistono a Roma. Alcuni studiosi ritengono che questo sia il sepolcro dedicato da Erode Attico alla moglie ma la tradizione l'ha tramandato a noi come il tempio del dio Redicolo, che in realtà era all'altezza della chiesa del Domine Quo Vadis (sull'Appia Antica).


Particolare della facciata del cosiddetto tempio del Dio Redicolo

Chi passeggia nella valle o lungo i suoi versanti può certamente notare molti altri ruderi (cisterne, ville, sepolcri) più o meno riconoscibili tra rovi e arbusti (e immondizia), che vanno dal I al IV sec. d.C.

Ricordiamo infine come nel versante della valle verso l'Appia Antica si intrecciano i cunicoli delle catacombe ebraiche, quelle di Pretestato e parte di quelle di S. Sebastiano.

Medioevo e Rinascimento

Morto Erode Attico il Triopio divenne proprietà imperiale e venne progressivamente abbandonato. L'età barbarica fu sicuramente il periodo più nero per la Caffarella (se escludiamo il periodo attuale): infatti, posta tra la via Appia e la via Latina, era proprio sul cammino degli eserciti invasori.

Caduto l'Impero Romano con il suo fasto, i suoi palazzi, le ville, i monumenti, anche la campagna subì uguale sorte e le opere di irrigazione e di bonifica prive di manutenzione andarono in rovina, mentre la natura selvatica riprendeva il sopravvento.

Nel IX secolo la valle della Caffarella, per i suoi cumuli di marmi derivati dalle varie costruzioni antiche, veniva chiamata Vallis Marmorea. Il fondovalle acquitrinoso fu diviso in vari fondi; vennero erette almeno cinque torri di guardia lungo l'Almone, unitamente ad opere di fortificazione e sbarramenti militari lungo la via Appia e la via Latina, che furono così progressivamente abbandonate parallelamente alla crescita di importanza di due vie che le sostituiranno: la via Appia Nuova e la via Casilina.


La Torre-ponte

Furono anche edificate intorno all'anno 1000 le cosiddette valche o mole, specie di mulini ad acqua destinati alla lavorazione ed al lavaggio dei panni di lana (valche) o, per brevi periodi, alla produzione di farina (mole). Ne derivò una fiorente industria, in modo particolare per le valche, tutelata nei secoli successivi da speciali "statuti", dall'istituzione di privilegi e dalla concessione di contributi.

Nel 1536 da porta S. Sebastiano entrò vittorioso in città Carlo V; è proprio in questo periodo che la famiglia dei Caffarelli, nota per aver ospitato l'imperatore con grande fasto, acquistò da vari proprietari la valle dell'Almone già nota con diverse denominazioni: Marmorea, Vallis Apie, Acquataccio, Fontana Vergine, Acqua Santa ecc.

Quell'ameno complesso di valli, boschi e declivi, ricco di vestigia storiche, fu ricondotto da Giovanni Pietro Caffarelli ad un'unica e funzionale tenuta agricola; questi vi fece costruire nel 1547 la splendida Vaccareccia, casale centrale della valle tutt'oggi attivo. La valle così riunificata prese il nome definitivo di Caffarella. Iniziò così la bonifica del fondovalle, furono spurgate le acque stagnanti, i vecchi canali furono approfonditi e di nuovi ne vennero scavati.

In quel periodo la Caffarella ebbe anche un compito di "natura igenica": nel 1656, quando Roma fu colpita dalla peste, le valche del fondovalle servirono al lavaggio del materiale infetto della città (panni, indumenti, lana dei materassi).

Dal '700 ai nostri giorni

Nel 1695 la tenuta fu venduta ai Pallavicini e quindi ai Torlonia che all'inizio dell' '800 curarono e completarono l'impianto idrico.

La Caffarella assunse così più o meno l'aspetto attuale e divenne meta obbligata per le passeggiate "fuori porta" dei Romani: nel secolo scorso ed ancora all'inizio di questo secolo erano numerose le osterie, la più caratteristica delle quali sicuramente quella allestita all'interno del ninfeo di Egeria; le cronache del tempo tramandano questo luogo come meta di visite di illustri ospiti della città, sottolinenandone la bellezza ed il valore.

Oggi molto è andato perduto, ma quanto è stato citato rappresenta solo una parte del grande patrimonio archeologico che ancora rimane. Esso costituisce un quadro storico-artistico unico nel suo insieme, anche perché si eleva nella cornice della Campagna Romana fra lecci e pascoli e, quel che più conta, subito a ridosso delle Mura Aureliane, profondamente all'interno quindi dell'attuale perimetro cittadino. E' quindi chiaro come tale area abbia ricevuto, sin dagli anni '30, la destinazione di parco pubblico.

Eppure oggi, nonostante la stessa istituzione del Parco regionale dell'Appia Antica, solo una piccola parte della Caffarella comincia a diventare un Parco: la parte che la Fondazione Gerini, che ha ereditato tutti i terreni che un tempo appartenevano ai Torlonia, ha acconsentito a cedere al Comune di Roma. Nel resto della valle i proprietari, a causa dei vincoli ancora esistenti, non possono o non vogliono ostacolare un vistoso degrado fatto di sporcizia, di cumuli di spazzatura, di detriti e calcinacci, di scarichi di ogni tipo, nonché di attività poco sociali o decisamente antisociali.

Lo stato agricolo, pur riconducibile alla struttura ottocentesca, è notevolmente rimaneggiato, e ciò, oltre che a causa della noncuranza padronale, anche a seguito dell'abusivismo agricolo che ha prodotto innumerevoli "orticelli di guerra" nel versante più vicino alle Mura.

Il "fiume sacro" Almone è ridotto a "fogna a cielo aperto".

Antichi ruderi, sepolcri e cisterne vengono utilizzati come pagliai, depositi o abitazioni in una sorta di "bidonville" in continua espansione. Per non parlare dei monumenti più belli della valle (come la chiesa di S. Urbano) che sono stati letteralmente sequestrati alla città ed incorporati in ville private difese da recinti e cani.

Ed ancora i verdi prati sono segnati da piste di motocross, alberi secolari e interi boschetti vengono abbattuti e bruciati per poter girare inverosomili film o per poter allargare il proprio orticello.

Pur tuttavia, grazie anche alla gigantesca opera di bonifica condotta dalla Fondazione Gerini e dal Comune di Roma nel 1998, l'area si presenta oggi con le caratteristiche paesaggistiche tipiche della Campagna Romana. Il verde fondovalle da sempre ed anche oggi è destinato alla pastorizia, mentre i residui di vegetazione spontanea, presenti sulle spallette e sui pendii si mescolano alle coltivazioni agricole connesse ai casali ed ai resti storici ed archeologici.

Bibliografia

In questi brevi appunti si è voluto accennare solo ad alcune caratteristiche della valle della Caffarella, tracciando una breve storia sia per capirne lo spessore storico sia per individuarne le origini naturali, culturali e sociali.

Per approfondire i vari aspetti si rimanda alla bibliografia, dove sono indicati sia testi HTML, sia alcuni libretti realizzati dal Comitato, sia una serie di testi che è possibile reperire nelle biblioteche cittadine.


Per commenti e osservazioni potete contattarci via e-mail c/o:
comitato@caffarella.it

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COMITATO PER IL PARCO DELLA CAFFARELLA 27 luglio 1998